Con lo sviluppo dell’inchiesta guidata dal procuratore aggiunto di Napoli Giovanni Melillo, la devastazione e il saccheggio della biblioteca napoletana dei Girolamini assumono proporzioni inaudite. Soprattutto, essi appaiono una devastazione ed un saccheggio di Stato.
E non solo nel senso – già chiaro e già commentato in questo blog che il vero carnefice della biblioteca è la politica italiana, intesa come la degenerazione apparentemente irreversibile del sistema democratico dei partiti. È vero, il direttore Marino Massimo De Caro, ora in carcere, ha contatti strettissimi con l’entourage di Massimo D’Alema ed è creatura di Marcello Dell’Utri. Ed è vero che sul ruolo di quest’ultimo si addensano interrogativi sempre più inquietanti.
Ma è il tradimento del Ministero per i Beni culturali ad apparire gigantesco: come se il marcio della politica fosse penetrato in profondità, ed avesse minato irreversibilmente il quartier generale della tutela del «patrimonio storico e artistico della nazione italiana» (articolo 9 della Costituzione).
Nell’ordinanza del Gip di Napoli Francesca Ferri che conferma il carcere per De Caro e compagni, si legge che la nomina dello stesso De Caro alla direzione dei Girolamini è avvenuta «ad onta di ogni regola e grazie all’influenza politica correlata all’incarico fiduciario di consigliere dell’ex ministro per i Beni e le attività culturali Gianfranco Galan». Tale nomina fu il passo decisivo di «un piano criminale studiato in ogni dettaglio», reso possibile dalla «perdurante assenza di controllo e vigilanza da parte degli organi del Ministero a ciò deputati».
Galan ha chiesto pubblicamente scusa per aver nominato De Caro come consigliere, su richiesta di Dell’Utri. Ma ora si apprende che un altro consigliere ministeriale dette l’allarme sulla figura e l’opera di De Caro fin dall’estate del 2011: perché né Galan né il suo staff ne tennero conto? Si apprende inoltre che l’ex direttore generale per le biblioteche del Mibac, Maurizio Fallace ha riferito ai magistrati «delle insistenti pressioni ricevute affinché rilasciasse il nulla osta della sua direzione generale alla nomina di De Caro, ciò che di fatto avvenne lo stesso giorno».
La Corte dei Conti dovrà ben porsi il problema delle responsabilità dell’enorme danno erariale (oltre che culturale) provocato da una simile condotta: ed è intollerabile che, a fronte di questo tradimento dei vertici del Mibac, i due bibliotecari fedeli che hanno fornito le prime prove dei furti siano tuttora precari (dopo trent’anni), e rischino addirittura il posto. Il silenzio di Lorenzo Ornaghi è, dunque, ogni giorno più grave. In un paese serio, un ministro il cui consigliere personale finisse in galera per aver saccheggiato una biblioteca pubblica avrebbe un’unica strada dignitosa: le dimissioni.
Ma perfino in Italia Ornaghi non può non spiegare perché il suo Ministero non vigilasse, non controllasse e invece obbedisse a «insistenti pressioni»; perché egli stesso abbia confermato De Caro come proprio consigliere (quando invece ne licenziò altri due, egualmente di Galan ma ben più innocui); perché l’ispezione ministeriale che avrebbe permesso di scoprire quelle enormità già a febbraio sia stata congelata fino a ben dopo la denuncia del «Fatto».
Ma il fatto che un piano diabolico per l’annientamento di un monumento così importante sia cresciuto e si sia attuato nelle strutture stesse del Mibac spinge a riflessioni più ampie.
La procura di Napoli è riuscita a gestire esemplarmente l’inchiesta perché esiste un pool specializzato in reati contro il patrimonio: non sarebbe l’ora di applicare ovunque questo modello? Il patrimonio di ordini ecclesiastici ormai esausti si annuncia come una facile preda della criminalità e come una delle prossime frontiere del riciclaggio di denaro sporco: occorre organizzare, e in fretta, un contrasto alnmeno altrettanto qualificato e motivato. Non è, poi, possibile lasciare i carabinieri del Nucleo di tutela sotto il controllo diretto del Ministro dei Beni culturali: troppe vicende degli ultimi mesi (dal Crocifisso ‘di Michelangelo’, al prezioso mobile settecentesco svincolato contro ogni norma, fino allo scandalo colossale dei Girolamini) dimostrano che il patrimonio va difeso anche dalle troppe deviazioni del Mibac.
La rapacità della classe politica, l’omertà della quasi totalità degli addetti ai lavori e un giro enorme di interessi congiurano nel tenere il coperchio sulla pentola: ma quando ‘patrimoniopoli’ scoppierà davvero, ebbene essa apparirà come la madre di tutti gli scandali che nutrono il suicidio del nostro Paese.