A meno di 500 metri dall'epicentro del secondo sisma la sede, ancora in piedi, della storica impresa leader nel settore hi-tech che ha 800 dipendenti e fattura 260 milioni di euro. Contati i danni, un paio di attività si spostano temporaneamente a Crevalcore e Modena, ma non migrano in Cina o in India
Ripartire al più presto. E’ questo quello che stanno provando a fare le aziende del settore bio-medico di Medolla, duramente colpite dal terremoto emiliano. Uno dei simboli del distretto è la Gambro-Dasco il cui gigantesco capannone principale svetta nella zona industriale circondato dalle gru e dai mezzi dei vigili del fuoco, a meno di 500 metri dall’epicentro del secondo terremoto.
Ed ogni giorno che passa nel distretto milioni di euro vanno in fumo e le quote di mercato sono a rischio, in un settore ad alta specializzazione che il nostro paese dovrebbe fare di tutto per tenersi stretto. Produzioni hi-tech che non si possono delocalizzare facilmente in Cina o in India ma che potrebbero finire nei paesi occidentali che investono maggiormente in ricerca. Quello che fino ad oggi le ha mantenute in Emilia è stata l’eccellenza del capitale umano. Un segreto che si capisce bene ascoltando la storia della Gambro-Dasco, ovvero la capostipite del bio-medicale di Medolla perché è proprio dalla palazzina di mattoni rossi che il terremoto non ha neppure scalfito al centro del suo stabilimento che tutto è nato nel 1962.
Allora si chiamava Miraset poi divenne Dasco e infine nel 1987 fu assorbita dalla multinazionale svedese Gambro. Da questa fabbrica provengono quasi tutti gli imprenditori delle aziende bio medicali della zona, molte delle quali importantissime nel loro settore. Per fare un esempio la Gambro detiene il 50% del mercato italiano e la sua concorrente più importante, la Bell-co, si trova esattamente dall’altra parte della strada.
Lo stabilimento Dasco copre oltre 96mila metri quadri e dà lavoro a 800 persone fatturando ogni anno 260 milioni dei 1,3 miliardi del gruppo Gambro. Qui si producono due monitor per la dialisi. Per il mercato italiano e giapponese realizzano quello che è il modello più avanzato al mondo: una macchina in grado di affrontare più patologie contemporaneamente. Per gli Stati Uniti viene invece prodotto un modello di medio livello dal costo più contenuto, studiato, spiegano, per il sistema sanitario privatizzato americano. Oltre ai monitor c’è la linea di produzione delle bloodline più tecnologiche (le altre, quelle che i cinesi sono riusciti a copiare, sono state spostate in Messico) e il centro ricerca dell’azienda.
Con una mossa che ha rincuorato i dipendenti dopo il sisma il Ceo Guido Oelkers è volato in Italia per testimoniare la volontà della Gambro di non lasciare Medolla. Ci vorrà tempo per mettere in sicurezza lo stabilimento, mentre è intatta la struttura antisismica del ciclopico magazzino automatico, al suo interno però sono caduti 3mila pellets che hanno pregiudicato il funzionamento del sistema, bloccando così metà della produzione dell’intera multinazionale. I piani superiori delle linee di produzione stanno venendo abbattuti in queste ore per permettere il recupero con le gru delle macchine, strumenti che costano dai 500mila euro in su l’uno.
Mentre provano a quantificare i danni, le prime stime parlano di decine di milioni di euro, alla Gambro stanno cercando in zona sedi sicure per spostare temporaneamente la produzione: il centro ricerca andrà a Modena e conta di ripartire entro un mese, la produzione dei monitor andrà a Crevalcore e dovrebbe essere operativa in due mesi. Più difficile da ricontestualizzare la linea delle Bloodline che necessita di una camera bianca, ovvero un’area sterile, non facile da individuare nelle strutture antisismiche della zona.
A 20 giorni dalla prima scossa la Gambro come tutto il distretto bio-medicale di Medolla prova a rialzarsi grazie al suo patrimonio di know-how e alle sue professionalità difficili da formare, peculiarità che le multinazionali possono ricreare in altri paesi solo con costi elevati e tempi lunghi. A Medolla lo sanno e ne sono orgogliosi, si tratta di una ricchezza che non si cancella nemmeno con un terremoto “Qui non facciamo bulloni o viti” spiegano. Fanno macchine sanitarie ad alta tecnologia. E’ da questo patrimonio di conoscenza che il distretto conta di ripartire, a patto, s’intende, di non venire abbondonati dalle istituzioni, le quali potrebbe dare un segnale d’aiuto a questo comparto di eccellenza accorciando i pagamenti delle forniture sanitarie che attualmente hanno raggiunto l’anno a fronte dei 60 giorni regolamentari.
E’ stata la seconda scossa quella che ha messo davvero in difficoltà lo stabilimento, un colpo che ai dipendenti è sembrata un’ulteriore beffa del destino: dopo la prima si erano rapidamente organizzati in modo da riprendere subito la produzione, ma quando alle nove di mattina del giugno la terra ha tremato nuovamente con epicentro nel campo di fianco alla fabbrica, gli edifici sono diventati inutilizzabili.
di Daniele Rielli