Quando il mattone non tira più, non rimane che buttarsi sull’oro. Deve averla pensata così il commerciante cinquantenne di Viggiù, un piccolo comune della provincia di Varese al confine con la Svizzera, che nei giorni scorsi è stato pizzicato dalla Guardia di Finanza nei dintorni di Como con la macchina imbottita d’oro. Ne aveva sistemati addirittura 50 chili nel doppiofondo della sua Mercedes Classe A, per un controvalore di circa 2 milioni di euro.
Non è chiaro quale fosse l’obiettivo dell’uomo, che non ha risposto alle domande dei finanzieri. Sono diverse le ipotesi al vaglio. Probabilmente l’intento era quello di mettere i suoi risparmi al sicuro nel caveau di qualche banca elvetica, al riparo dal fisco italiano. Visti i rischi che si corrono espatriando denaro contante (esistono dei sistemi di rilevazione in grado di scovare la valuta nascosta), l’imprenditore potrebbe aver puntato tutto sul metallo prezioso, sperando di non farsi cogliere in fallo. Non si sa se volesse attraversare la dogana autonomamente o se avesse appuntamento con qualche spallone a cui affidare il prezioso carico da portare al di là del confine.
Qualunque fosse il piano escogitato, gli è andata male. Una pattuglia di finanzieri del gruppo di Ponte Chiasso, durante l’attività di controllo e di circolazione transfrontaliera di valuta, in azione fuori dagli spazi doganali, ha intercettato e fermato l’autovettura condotta dall’imprenditore varesino che viaggiava in compagnia della figlia ventenne. Nonostante il primo controllo avesse dato esito negativo, alcune risposte alle domande poste dagli agenti e certi atteggiamenti dei due hanno insospettito i finanzieri, che hanno deciso di approfondire. Padre e figlia sono stati accompagnati in caserma dove la loro auto è stata passata al setaccio della squadra “cacciavitisti”, dei finanzieri specializzati nel trovare nascondigli e parti nascoste nei veicoli. Ed in effetti il doppio fondo è saltato fuori: un vano ricavato sotto uno dei sedili dell’auto da cui le Fiamme Gialle hanno estratto, in bell’ordine, dieci involucri contenenti numerose verghe d’oro, per un peso complessivo di 50 Kg e un valore di oltre 2 milioni di euro. Il metallo prezioso, privo di qualsivoglia attestazione circa provenienza (come anche della bulinatura indicante il grado di purezza), era stato confezionato con della carta di giornale, avvolta con del nastro adesivo, in blocchi da cinque chili ciascuno. Le analisi effettuate su un campione del metallo da parte degli esperti della Gdf hanno confermato che si trattava di oro superiore ai 18 carati.
Né l’uomo, titolare di un negozio di alimentari, né la figlia hanno fornito spiegazioni o dimostrato la legittima provenienza dell’ingente quantitativo del prezioso metallo. Pertanto, i due sono stati denunciati a piede libero alla Procura della Repubblica di Como per il reato di contrabbando. L’oro e l’autovettura sono stati sottoposti a sequestro e sono state avviate le indagini per conoscere la provenienza dei lingotti.