Dieci, sette, cinque, sei. Sono anni di carcere che la Cina ha comminato nei giorni scorsi a dirigenti ed ex calciatori. In mezzo tante mazzette e soldi derivanti da partite truccate nell’ambito di un’indagine partita due anni fa che si è conclusa all’inizio di questo mese. I protagonisti non se la sono certo cavata con un paio di notti in gattabuia e qualche spavento o resoconti surreali di carte telefoniche finite nelle mani sbagliate. Le condanne infatti sono fioccate, come si dice delle occasioni da goal in una partita: dieci anni e mezzo per gli ex capi del calcio cinese e per l’ex capitano della nazionale del Celeste Impero, nell’ambito di una ventina di condanne che ha fatto fuori l’ex intellighenzia del fallimentare corso calcistico cinese.
Un anno fa un calciatore straniero che ha giocato una stagione in una compagine del campionato nazionale cinese, raccontava le ragioni per le quali era finito in panchina: “Non pago il mister”, aveva raccontato. Una situazione paradossale confermata qualche mese prima dallo scandalo che aveva coinvolto la nazionale cinese. Ferma ad un ranking mondiale vergognoso (oggi è in posizione 73, Haiti, per dire è in settantunesima posizione), si era scoperto che i calciatori compravano le convocazioni, pagando dirigenti e allenatori. All’epoca erano venuto fuori anche le cifre: fino a 200 mila yuan, oltre 20 mila euro, per essere convocati in nazionale. Con 10 mila euro circa, invece, si poteva partecipare ai raduni per mettersi in evidenza, ottenere qualche contatto buono per sponsor e future comparsate. All’epoca la CCTV decise a suo modo di sottolineare l’imbarazzo, non trasmettendo in diretta l’atteso derby con il Giappone (conclusosi poi 1-1).
Nel 2010 lo scandalo era scoppiato in tutto il suo spessore nazionale, facendo addirittura intervenire la politica. Il boss al centro della ragnatela della Calciopoli cinese era Nan Yong, ex capo della Chinese Football Association, arrestato insieme ad altri due alti funzionari della federazione, il 15 gennaio del 2010. Nan Yong, 49 anni venne licenziato in tronco, subito. Era accusato di essersi intascato i soldi provenienti dalla britannica Iphox, uno dei vecchi sponsor del campionato di calcio cinese. Nella Calciopoli italiana legata alla banda Moggi, ci si ricorda, forse chissà, di Beppe Pisanu: quando era ministro aveva chiamato Moggi per chiedere qualche favore per aiutare la sua squadra, la Torres. Nan Yong – come scrisse all’epoca l’Oriental Morning Post – si era preso circa 500 mila yuan, 50 mila euro, solo per assicurare una promozione ad un club del nord, salito magicamente di categoria. Dai suoi interrogatori, inoltre, emerse lo scandalo delle convocazioni in nazionale a pagamento.
Prima ancora dei vertici e di alcuni giocatori, di mazzette e del giro di scommesse, lo scandalo aveva coinvolto anche gli arbitri del Celeste Impero. Una Banda dei Quattro in chiave calcistica: Wang Xin, Wang Po, Ding Zhe e Yang Xu ovvero coloro che orchestrarono i match truccati, attraverso arbitri comprati e scommesse su siti esteri. Succedeva così, come ben sappiamo: le squadre si accordavano per il risultato finale, scommettevano su siti stranieri e se l’accordo tra giocatori e dirigenti veniva considerato a rischio, bastava fare shopping tra la lista di arbitri. “Un arbitro costa circa 7 mila dollari”, aveva urlato Song Weiping, uno dei proprietari di un team di calcio cinese. Secondo il presidente, nove arbitri su dieci del campionato erano corrotti. “E se non li paghi tu, li pagano gli altri”.
Ieri si è concluso uno dei capitoli più amari del calcio cinese, che prova faticosamente, anche a colpi di miliardi, a ricostruirsi un’immagine internazionale degna di nota. Nei processi Nan Yong, ex capo del calcio cinese è stato condannato a dieci anni e mezzo per aver ricevuto mazzette pari a quasi 1 milione e mezzo di yuan (circa 235 mila dollari). Il suo predecessore, Xie Yalong, e Wei Shaohui, l’ex capitano della squadra nazionale, hanno ricevuto la stessa pena, con l’accusa aver accettato tangenti. In tutto, 24 persone sono state trovate colpevoli. Wei Di, capo attuale del calcio cinese che ha contribuito a sviluppare le indagini, ha dichiarato che il paese potrebbe aver bisogno di lavorare con l’Interpol in futuro per mantenere pulito il calcio cinese.
di Simone Pieranni