Le intercettazioni che hanno portato all’iscrizione sul registro degli indagati dell’ex Ministro Nicola Mancino per falsa testimonianza nell’ambito dell’inchiesta palermitana sulle trattative Stato-mafia (già, perché i magistrati parlano di due trattative), raccontano di triangolazioni telefoniche fra Mancino, il consigliere del Quirinale Loris D’Ambrosio (magistrato già alla Procura di Roma e poi con Sica e Di Maggio all’Alto commissariato antimafia) e il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo. Preso atto, con grande rammarico, della decisione di Messineo di non firmare l’avviso di conclusione delle indagini preliminari notificato agli indagati, oggi mi chiedo cosa avessero da dirsi uno dei testimoni ed il capo dell’ufficio inquirente, con il supporto nientemeno che del Colle più alto. Ieri, infatti, in una breve intervista rilasciata al Corriere della Sera, il procuratore si è limitato a “difendere” il Colle, senza spiegare alcunché sulle telefonate con l’ex Ministro dell’Interno e con D’Ambrosio e soprattutto senza smentirle. Si è limitato a negare che Mancino gli abbia chiesto di intercedere affinché si evitasse il confronto con Claudio Martelli.
Sarebbe molto interessante, quindi, conoscere il contenuto delle conversazioni tra i tre. Se l’ex vicepresidente del Csm ha lasciato intendere al Quirinale di essere “solo” e di aver bisogno di un intervento diretto del Presidente della Repubblica nei confronti dei magistrati palermitani, cosa avrà potuto dire al capo della procura di Palermo, dopo essere stato sentito in qualità di testimone? Messineo avrebbe dovuto evitare queste indebite interlocuzioni, che hanno reso ambigua la posizione del soggetto di vertice della procura che indaga su alcuni dei misteri e delle pagine più buie della nostra storia.
Posto che il Quirinale si è già espresso sulla vicenda, a dire il vero in modo perfino imbarazzante (è necessario ricordare che il Presidente della Repubblica non è tenuto a rispondere alle richieste di un privato cittadino che, come Mancino, vuole sottrarsi all’obbligo di testimoniare secondo verità e che, peraltro, Napolitano mai avrebbe dovuto scrivere al procuratore generale della Cassazione per chiedere un coordinamento tra procure, visto che la Costituzione assegna al Capo dello Stato il ruolo di Presidente del CSM ma nessun potere di intervento sull’esercizio della giurisdizione?), sarebbe il caso che anche Messineo prendesse posizione, in modo chiaro, netto ed inequivocabile e che difendesse il suo ufficio e i suoi magistrati, già fin troppo esposti e isolati, per effetto delle sconsiderate esternazioni di caporioni di MD come Rossi e Cascini.
La candidatura al prestigioso incarico di procuratore generale da parte di Messineo necessiterebbe di cautela ed avvedutezza maggiori. Il procuratore capo si assuma dunque la responsabilità di essere il più trasparente e chiaro possibile o faccia un passo indietro. La procura generale di Palermo deve esprimere una personalità assolutamente limpida e inattaccabile e, in questa situazione, Messineo sembra più impegnato a garantirsi consenso politico al Csm piuttosto che assicurare rigore e intransigenza a garanzia del principio di uguaglianza di tutti i cittadini, Mancino compreso, davanti alla legge.