“de Magistris ti voglio bene” titolava l’Espresso del 26 gennaio scorso. Il sindaco più amato d’Italia, secondo il sondaggio del Sole-24 Ore. Seguiva l’elenco dei buoni risultati (molti) e delle gaffe (diverse): città più pulita, vigili per strada, campagne per la legalità, ordine nei conti pubblici e nelle società partecipate, ma anche problemi di comunicazione e troppa disinvoltura nel proclamare annunci impossibili da mantenere. Trascorsi sei mesi bisogna scrivere un altro titolo: “de Magistris ti abbandono”. A un anno dall’assalto a Palazzo San Giacomo, i simboli della Rivoluzione Arancione di Napoli stanno andando via a uno a uno. L’ultimo è stato Giuseppe Narducci, l’assessore alla Sicurezza, il pm di Calciopoli ed integerrimo magistrato anticamorra che per entrare in giunta ha chiesto l’aspettativa al Csm, ha subìto gli strali dell’Anm (il codice deontologico vieta alle toghe l’attività politica nel distretto giudiziario dove hanno lavorato) e ha accettato una consistente diminuzione dello stipendio. Narducci si è dimesso scrivendo una lunga lettera intinta nel vetriolo, accusando de Magistris di essere “antidemocratico”, di non accettare dissensi e critiche e di amministrare seguendo “dinamiche che a mio parere, più di altre, sembrano collocarsi su una linea di assoluta continuità con vecchie logiche del passato”. “Il suo contributo è stato irrilevante” gli ha risposto, piccato, de Magistris.
Fu molto più breve, invece, e priva di motivazioni, la letterina di dimissioni di Raphael Rossi dall’incarico di presidente dell’Asìa, la municipalizzata dei rifiuti. Tanto da somigliare a un documento di cortesia, una di quelle missive che per prassi si mandano a fine anno al sindaco. L’ex pm lo aveva chiamato da Torino per lanciare un segnale e imprimere una svolta: sulla spazzatura stop alle clientele e alle incrostazioni del passato, massima trasparenza e forte impulso alla raccolta differenziata per uscire definitivamente dal disastro ereditato. E chi meglio del giovane manager che aveva denunciato un tentativo di corruzione nella municipalizzata torinese, sventando l’acquisto di strutture tanto costose quanto inutili? Ma Rossi è stato ‘dimissionato’ a gennaio, dopo appena sei mesi, con modalità fumose e ragioni mai spiegate fino in fondo. Nessuno dei due, peraltro, ha fatto uno sforzo di chiarezza. Tra le cause del divorzio, i dissapori tra Rossi e il vice sindaco Tommaso Sodano sulla gestione delle assunzioni in Asìa, e in particolare a un contenzioso sull’assorbimento di 23 unità provenienti da un altro ente. Rossi era contrario, e lo ha detto anche ai pm che indagano sulla monnezza connection di Napoli e lo hanno sentito in qualità di testimone. Tra i vari boatos, ne emerse uno che spiegava il dimissionamento di Rossi con i risultati non eccellenti nella gestione di Asìa. Il primo cittadino di Napoli dichiarò che per il manager torinese aveva in mente un altro ruolo. Quale, non lo abbiamo mai saputo, giacché Rossi ha preferito accettare un’altra offerta ed è andato a lavorare in Puglia.
La terza figurina dell’album degli addii a de Magistris è quella di Roberto Vecchioni, il cantautore dei campagne elettorali di Pisapia e de Magistris. Avrebbe dovuto presiedere il Forum delle Culture 2013. Aveva preso il posto dell’ex assessore Nicola Oddati, esautorato brutalmente perché esponente del vecchio regime bassoliniano. Vecchioni aveva accettato l’incarico con entusiasmo. Un entusiasmo che è venuto meno quando l’artista ha scoperto di essere stato messo a comandare una scatola vuota, priva di risorse e con gli uffici senza corrente elettrica, staccata per morosità. Vecchioni avrebbe dovuto ricevere un compenso annuo di 160.000 euro, sotto la voce “diritti di immagine” e “spese di staff”. Le furibonde polemiche che ne scaturirono lo convinsero a fare il presidente “gratis”. Ruolo che dopo questo annuncio ha ricoperto per appena un mese: si è dimesso il 10 gennaio, una settimana dopo Rossi. Ora il Forum delle Culture è in crisi profonda, pochi giorni fa il governo Monti ha annunciato il suo disimpegno economico dall’evento.
E già si accettano scommesse su chi sarà il prossimo ad abbandonare la nave arancione. Di sua spontanea volontà o dimissionato d’imperio. Appena il bilancio sarà approvato in consiglio, de Magistris darà il via alle danze del rimpasto in giunta. Il primo a farne le spese potrebbe essere un altro simbolo della Rivoluzione, l’assessore alle Finanze Riccardo Realfonzo, il tecnico che abbandonò la giunta Iervolino denunciando la gestione clientelare delle società partecipate e raccontando la sua vicenda politica e umana in un libro che ha fatto scalpore, “Robin Hood a Palazzo San Giacomo”. Lui, fiutando il pericolo, consapevole di essere entrato spesso in rotta di collisione col sindaco, si è fatto intervistare dal quotidiano “Il Mattino” per affermare che una sua eventuale sostituzione non avrebbe senso. Basterà?