Ebbene, sono trascorsi ben 35 anni dal Silver Jubilee, quando i Sex Pistols salirono alla ribalta della scena musicale britannica con il controverso singolo confezionato in un’iconica e controversa copertina disegnata da Jamie Reid, in cui la sovrana appare sfregiata, con la bocca e gli occhi coperti da un nastro con su scritto il titolo del singolo e il nome della band, come a voler rendere la Regina cieca e muta. La censura però, non servì molto ad arginare la potenza del brano che riuscì a piazzarsi ugualmente e in poco tempo al vertice della classifica dei singoli più venduti, attirando il pubblico per le liriche offensive nei confronti della sovrana, a cui si imputava di far parte di un regime fascista, esprimendole tutto il disprezzo per l’istituzione e per il potere che rappresenta.
Nonostante appaia evidente che la band abbia scritto la canzone appositamente per rovinare la festa alla Regina, i Sex Pistols dal canto loro hanno sempre negato questa versione. Paul Cook, il batterista della band, in più di un’occasione ha ribadito che no, “non è stata scritta specificatamente per il Giubileo della regina. Non eravamo informati di questo all’epoca, non era un’opera studiata a tavolino per venire fuori e scioccare tutti”. Il brano, originariamente intitolato No Future, in verità venne cambiato in God Save the Queen per volere del manager Malcom McLaren sapendo – quest’ultimo sì che ne era al corrente – dell’imminente Giubileo d’Argento della regina, ritardandone oltretutto l’uscita per farla coincidere con la manifestazione. Ed è noto che per festeggiare a modo loro, il 10 giugno 1977, il giorno del Giubileo, la band noleggiò una barca sul Tamigi, di fronte al Palazzo di Westminster per eseguire quell’inno di protesta, e urlare al mondo intero quel “No future” diventato vero e proprio slogan del movimento punk rock. Celebre è anche il triste epilogo: dopo una rissa che coinvolse Jah Wobble e un cameraman, la barca attraccò e undici persone furono arrestate.
Ora che anche le celebrazioni avvenute in pompa magna del Giubileo di Diamante si sono concluse e nei negozi scorte di souvenir con l’effigie della Regina sono venduti a prezzo di saldo, i Sex Pistols possono anche ripubblicare la loro canzone-simbolo – smentendo anche questa volta di averlo fatto per indispettire la Regina – ed esser compresi, quasi nell’indifferenza, nella playlist che celebrerà uno degli eventi mondani del pianeta. D’altronde, sono lontani i tempi in cui l’Inghilterra si ergeva al centro delle strategie geopolitiche del Vecchio Continente e quando per bocca del sovrano partivano le direttive che influenzavano le politiche internazionali. L’Inghilterra oggi appare un po’ più sola, intenta più che altro a salvare la propria economia dal vortice instabile della Comunità europea e il Regno appare meno forte, salendo di tanto in tanto alla ribalta delle cronache per i gossip reali, dipinto in modo Pop e lungi dall’essere considerato temibile come in passato.
Lo spirito di protesta del Punk, dal canto suo, rivive nello spirito degli attivisti odierni, i cosiddetti “indignados”, che hanno occupato la London Stock Exchange per esprimere il loro dissenso a una società che ha messo il denaro prima di tutto e anche se i molti simboli del movimento sono stati inglobati dalla cultura visiva odierna, compresa la copertina del disco dei Sex Pistols che è ora esposta in una mostra di ritratti della Regina alla National Portrait Gallery. E le catene, le borchie e le creste che ne caratterizzavano la figura, non hanno più la valenza scioccante di un tempo. Tuttavia il punk come sub-cultura è sopravvissuto fino a noi, nonostante le mille contraddizioni che lo caratterizzano, e questo non per via di una sorta di nostalgia, ma in quanto simbolo, seme e sinonimo della ribellione giovanile. Ieri come oggi. God Save the Queen.