Un giovane marocchino, cresciuto ad Algeri sotto la protezione di un importante Imam integralista, viene mandato nella Parigi multietnica, a metà degli anni Duemila, per seguire il volere di Allah e portare la Guerra Santa in terra d’Occidente. Questa, in brevissima sintesi, la trama di Paris Kebab, di Marco Trucco, ultimo volume pubblicato quest’anno da Safarà Editore.

Fez era di fronte a noi. Grandiosa nelle mura della città vecchia e sfumata dalla polvere smossa tutto attorno dal vento che dall’est si schianta sull’Atlante e raggiunge il mare aperto. Non pensavo esistesse così tanta gente nel mondo. Da dove venivo tutti erano parenti, tutti a pregare per gli stessi martiri e per le stesse bocche. La Medina avvolgeva con le sue mura il mio nuovo mondo… Al di là del caldo mare spezzerò le genti come loro spezzano il pane infedele.

Si tratta di un romanzo coraggioso e originale, uno schiaffo contro i luoghi comuni e molti pregiudizi occidentali. L’idea di scrivere in prima persona è funzionale. Ne nasce un’immagine schietta e senza fronzoli di un ragazzo come tanti, sfuggito alle percosse e alle violenze familiari per cadere nella maglia spietata della Jihad islamica. Un ventenne mandato in Europa per diventare parte attiva della cellula terroristica che metterà a ferro e fuoco la capitale francese.

“… l’appuntamento era fissato per le dieci alla Gare de Lyon, sui seggiolini dell’area di attesa di fronte al binario undici. Ethan mi aveva fornito una foto a colori e una descrizione precisa dell’aspetto di Nasser, spiegandomi minuziosamente i movimenti da compiere…”

Condensando in modo equilibrato verità e finzione (i reali attentati del 2005 a Londra e Sharm el-Sheikh sono affiancati da azioni bombarole da compiersi in Francia e in Italia), tracciando uno spaccato veritiero sulla vita quotidiana negli arrondissement nord, culla delle diverse culture dell’immigrazione, sulle riflessioni, le gioe e i deliri del giovane terrorista, Trucco è riuscito a scrivere un libro inedito nel panorama nazionale.

Si respira un’aria da letteratura mediterranea, penso soprattutto all’insuperabile Yasmina Khadra che nei suoi romanzi, in primis Cosa sognano i lupi e Le sirene di Baghdad, ha affrontato ampiamente il tema del terrorismo nel mondo arabo. C’è inoltre un plot noir che rimanda alla tradizione del poliziesco francese. L’autore è molto bravo, nella seconda parte del libro, a passare dalla visione personale del protagonista a un’immagine corale che crea suspense e tiene il lettore incollato alle pagine.

In Paris Kebab non ci sono buoni. Sono tutti cattivi e colpevoli. Le vittime non esistono, la condizione umana è al collasso. Sono figure negative i santoni della Jihad che invitano gli altri a immolarsi per un vagheggiato paradiso pieno di uri, lo sono i servizi segreti israeliani, che giocano con la vita dei propri cittadini all’estero ed hanno una visione del conflitto palestinese che ha molte attinenze con l’ideologia nazifascista, lo sono i mercenari europei che lavorano per il terrorismo arabo, figure squallide pronte a compiere massacri per borse piene di soldi, immagine non troppo velata di come l’Occidente abbia una consapevolezza, forse solo parziale, di chi siano e del perché agiscano i kamikaze.

Un romanzo fresco, con una scrittura asciutta, sintetica e veloce. Peccato solo per l’editing, dilettantesco, che in certi brani, tra refusi e ingenuità, rallenta la corsa verso la resa dei conti finale, con qualche accorgimento in più Paris Kebab sarebbe stato ancora più accattivante. In ogni caso trasuda coraggio, sincerità e originalità, e già questi, nel mondo letterario di oggi, sono fattori non di poca importanza.

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