Emilia Romagna

Ultima asta deserta, il Piacenza Calcio scompare dopo 93 anni

Dopo mesi di trattativa nessun imprenditore si accolla l'onere di ripianare i debiti di una squadra allo sbando. Cancellata in pochi istanti l'epoca d'oro della serie A con il presidente Garilli. Ed oltre il danno, la beffa: il club è stato penalizzato di 11 punti per il calcioscommesse

Il Piacenza Football Club 1919 è scomparso, allo scoccare della mezzanotte appena trascorsa, nel disinteresse generale dell’intera città. Sono infatti scaduti i termini formali per poter rilevare la società di calcio cittadina dopo tre aste andate deserte. “Ci si poteva aspettare qualsiasi sconfitta sul campo, ma di sparire proprio non se l’aspettava nessuno”. E’ stato l’amaro commento dell’avvocato Franco Spezia, che prima ancora di essere il curatore della società sportiva è piacentino fino all’osso. E proprio per questo si è sentito di lanciare una frecciata verso la stessa cultura nella quale affonda le radici: “Credo sia doverosa una riflessione, da parte degli organi di informazione sullo stato della città e sul carattere dei piacentini”.

La discesa agli inferi era iniziata molti anni fa, mentre la vera corsa a fari spenti nella notte è partita nell’aprile del 2011, quando, dopo alcuni ottimi risultati sul campo, il Piacenza calcio si è trovato a pochi punti dalla corsa play off. Un blackout costellato di sconfitte e giocatori svuotati di grinta ed energia, un atteggiamento che subito i tifosi biancorossi denunciano con un nome: il calcioscommesse. L’opinione si diffonde sui giornali e, di lì a poco, spunta il coinvolgimento nel grande scandalo calcistico del difensore Carlo Gervasoni, allora tesserato della società di via Gorra, che diventa il pentito cardine dell’intera inchiesta sul marcio nel mondo del calcio.

Non si fa che parlare del match Piacenza – Atalanta finito 3 a 3 e chiamato “la madre di tutte le combine” che si deve già pensare a uno spareggio play out da disputare, con l’Albinoleffe, per non retrocedere dalla serie B alla LegaPro. E’ l’11 giugno 2011, finisce 2 – 2 ma per la logica degli scontri diretti al Piacenza non basta. Come se non bastasse la retrocessione, a pochi minuti dalla fine della partita, il presidente Garilli si presenta in conferenza stampa e annuncia che lascerà la guida della società.

Dopo 29 anni finisce l’era di una famiglia che, con il padre Leonardo, nel luglio del 1983 aveva rilevato una squadra retrocessa in C2  e che due anni dopo non riuscirà a salire a causa dello scoppio del primo caso di Calcioscommesse in Italia, ma che dal 1992 al 2003 mantiene il Piacenza nei ranghi della serie A. “Oggi mi sembra di rivivere lo stesso film”, affermò un anno fa Fabrizio Garilli, leggendo un freddo comunicato, “lascio la società a possibili acquirenti dei quali si sente parlare”. Ma da quel momento niente sarà più come prima.

L’allora sindaco Roberto Reggi cerca di impegnarsi in prima persona e assicura: “Ci sono imprenditori piacentini che salvaguarderanno il club”. Le trattative sono lunghe, serrate, complesse e, dal cilindro, spunta una cordata di imprenditori, non della zona, che vanta un pedigree di tutto rispetto nello spolpamento di società di calcio in difficoltà. Luigi Gallo, il perno della cordata, dopo aver provato a rilevare Genova, Venezia e Torino a vario titolo, tra fideiussioni non garantite per milioni di euro e inchieste aperte in tre procure, riesce a convincere l’ad Riccardi, fiduciario di Garilli, a cedergli la società piacentina. Con sé porta l’avvocato Marco Gianfranceschi e il manager  Vladimiro Covilli Faggioli, esperti in “operazioni rinascita” visto che, grazie alla loro gestione, avevano appena condotto la Lucchese al fallimento con un processo aperto per bancarotta fraudolenta. All’incontro con i tifosi promettono: “Torneremo in serie B il prossimo anno”. La Società Italiana Srl, formata per l’occasione, non arriverà neppure a pagare gli stipendi dei giocatori, che dopo poche giornate del campionato 2011-12 metteranno in mora la dirigenza. Così, cacciati a suon di uova e monetine dai tifosi, gli “avventurieri” Gallo e company se la battono a gambe levate.

A sorpresa torna Fabrizio Garilli al timone, come amministratore unico, anche se si tratterà di un espediente per evitare grane maggiori: avendo mantenuto il 25% delle azioni andrebbe incontro, con l’eventuale bancarotta fraudolenta, a un processo che potrebbe aggravare la sua situazione, visti i debiti e il contenzioso aperto che l’ex patron biancorosso vanta davanti all’agenzia delle entrate con le aziende di famiglia.

Si cerca sempre un acquirente, o meglio, più soci che rilevino la squadra e le permettano un  campionato tranquillo in LegaPro. Non ci sarà verso. Tutti si accapigliano sui giornali, dalle associazioni di categoria, agli imprenditori più in vista della città ad annunciare un imminente impegno economico.  Ma quando viene il momento di mettere mano al portafogli risulteranno, immancabilmente, assenti.

Nel frattempo avanzano le inchieste del Calcioscommesse con le rivelazioni di Gervasoni, che porta numerosi punti di penalizzazione a una squadra che, nonostante le difficoltà societarie, appariva in grado di concludere con dignità il campionato.

L’iter per evitare il fallimento comunque non si ferma e, dopo infinite udienze di Garilli e i suoi avvocati davanti ai giudici, il 21 marzo di quest’anno arriva il triste annuncio: il Piacenza calcio è fallito. Altro comunicato, nel quale l’amministratore unico si dispiace del mancato interessamento di altri soci per sostenere la società e tanti saluti. Il club viene messo nelle mani di due curatori fallimentari, l’avvocato Franco Spezia e il commercialista Germano Montanari. Obiettivo: in tre mesi di tempo pagare gli stipendi, ripianare i debiti e costruire una nuova società con chi fosse interessato.

I contatti che i due intraprendono sono numerosi, così come i servizi giornalistici sui possibili acquirenti che potrebbero formare la cordata ma alla fine, nonostante il Piacenza sia arrivato lentamente a essere venduto a prezzo stracciato (50 mila euro, neppure un appartamento in centro) nessuno si fa avanti.

Forse anche perché sul campo, visto il trambusto che si riverbera sul rettangolo verde, arriva la seconda retrocessione consecutiva. Questa volta in casa del Prato. E’ il 27 maggio e ancora un pareggio (1 a 0 all’andata per il Piacenza sconfitto per 1 a 0 al ritorno) condanna la squadra guidata da mister Francesco Monaco.

Nessuna buona notizia intanto dal Tribunale, con tre diverse aste al ribasso snobbate da tutti coloro che a turno si erano fatti pubblicità paventando la possibilità di impegnarsi nella “Rinascita biancorossa” e  così, volenti e nolenti, si è giunti al countdown di ieri.

L’avvocato Spezia, cioè colui che avrebbe dovuto avere, per ruolo ricoperto, il più asettico dei commenti è invece risultato il meno retorico: “Oggi è una giornata di grande mestizia. C’è da dire che negli ultimi tre giorni – prosegue Spezia – i contatti sono stati più assidui e intensi che nei due mesi precedenti; ci siamo andati molto vicini, ma alla fine non si è trovato l’accordo”. Silenzio, per ora, dalle istituzioni locali.

Per questo, nonostante il rammarico, in mattinata Spezia e Montanari andranno in tribunale e la società cesserà di esistere e con essa il titolo sportivo e tutti i contratti in essere, dalle giovanili alla prima squadra.

Ora le soluzioni aperte sono di natura diversa da quella federale. “Esiste una norma – spiega il curatore – che consente a una città, attraverso le sue autorità di chiedere una deroga e l’iscrizione di una squadra nel campionato dilettanti, anche se questo costa di più che comprare adesso”. La cifra per iscrivere il Piacenza nel campionato di Lega pro, infatti, ora come ora costa 300mila euro, senza contare che c’è una squadra da fare con tutta la struttura che ci sta attorno.

L’unico aspetto salvaguardato, per ora è parte del passato. Il comitato “Salva Piace” formato da alcuni volenterosi privati acquisterà, dietro l’esborso di 30 mila euro, il marchio “al fine di evitare – sottolinea il tesoriere Massimo Garibaldi – il rischio che venisse sottratto da chicchessia per interessi di parte”.

E qui la storia si conclude. Anzi no, perché come se non bastasse ieri è arrivata la beffa: 11 punti di penalizzazione dovuti allo scandalo del calcioscommesse per  una squadra che non esiste più. La ferita, ora, difficilmente si rimarginerà in una città  che, forse solo grazie al calcio, si era illusa di essere grande.

di Gianmarco Aimi