Ci sono leggende metropolitane e storie leggendarie. E vicende che hanno dell’incredibile. Ma ci sono anche storie devastanti, che hanno reso più triste e cupa la vita di alcuni calciatori protagonisti di Euro 2012. Fatti che hanno sconvolto la loro giovinezza, con il destino che poi ha dato un’altra possibilità: rifarsi una vita attraverso il calcio, il ‘lavoro’ che sognavano sin da quando erano bambini.
Cosa non si fa per la nazionale – Gli Europei o i Mondiali di calcio sono manifestazioni sportive in grado di tenere incollati davanti alla televisione milioni di persone, ma anche di riunire intere popolazioni. Ma c’è anche chi odia restare con le mani in mano e pur di vivere l’evento da vicino porta a compimento imprese incredibili. Come il tifoso portoghese che, dopo aver percorso 3600 chilometri attraverso l’Europa in sella alla sua bicicletta, è arrivato in Polonia per seguire Cristiano Ronaldo & C. Jorge Franco, come ha spiegato la stampa polacca, ha impiegato più di otto settimane a raggiungere Opalenica, la cittadina che ospita il ritiro della Seleção Portuguesa. Il lusitano è stato imitato anche da alcuni tifosi olandesi per i quali il viaggio è stato meno complicato. Non tanto per la distanza meno proibitiva. Cinque tifosi orange, tre uomini e due donne, hanno infatti percorso 2700 km per raggiungere Kharkiv, in Ucraina, ed assistere alle prestazioni della formazione di Bert van Marwijk dopo 17 giorni di viaggio. Ma la “quinta olandese”, come ha reso noto il giornale ucraino Segodnya, non è riuscita ad arrivare in tempo per l’esordio contro la Danimarca. In compenso hanno potuto godersi gli altri due match di Snejider & C. Peccato che sono dovuti tornare a casa dopo nemmeno due settimane di “villeggiatura” visto che l’Olanda è stata eliminata al primo turno.
Seconda possibilità – “Il tempo mitiga il dolore e cura le ferite”. Questo devono aver pensato Jakub “Kuba” Blaszczykowski e Alan Dzagoev che hanno avuto a che fare con la morte, direttamente o indirettamente. Gli occhi del 26enne giocatore polacco non potranno mai cancellare l’immagine della madre pugnalata dal papà. Lui era un bambino di soli 10 anni quando un giorno il padre Zygmunt accoltellò Anna uccidendola proprio di fronte al proprio figlio. Quell’immenso dolore è sfociato nelle lacrime uscite copiose dopo il gol realizzato da “Kuba” contro la Russia. Lui stesso, alla vigilia della sfida contro la Grecia, ha deciso di rendere pubblica la tragedia che ha colpito la sua famiglia, proprio ad un mese dalla morte del padre assassino, avvenuta dopo 15 anni di carcere: “Non ho mai perdonato mio padre: mi sono chiesto tante volte perché, ma ora vado avanti”. Lo choc lo tenne bloccato a letto per cinque giorni, pietrificato, e fu costretto a crescere sotto l’ala protettrice di nonna Felicja e dello zio Jerzy Brzeczek, ex capitano della nazionale polacca anni Novanta. Sarà impossibile dimenticare la tragedia che ha colpito la sua famiglia, ma il tempo probabilmente riuscirà a rendere meno “spigolose” le ferite dell’anima a suon di gol.
Da una tragedia vissuta in prima persona ad una soltanto sfiorata. Quella che ha coinvolto, suo malgrado, Alan Dzagoev prima che diventasse uno dei giocatori russi più talentuosi. Sono passati soltanto otto anni e lo choc è ancora vivo dentro di lui. E’ il 2004 e lui ha 14 anni. Come ogni adolescente va a scuola nella città natale: Beslan. Una città normalissima, spersa nell’Ossezia del Nord, fino a quel maledetto giorno di settembre quando un gruppo di 32 persone formato da ribelli fondamentalisti islamici e separatisti ceceni occupò la “scuola numero 1” sequestrando 1200 persone fra adulti e bambini. Tre giorni dopo le forze speciali russe fecero irruzione causando il massacro di 331 persone fra le quali 186 bambini. Il piccolo Dzago era in uno dei plessi scolastici accanto. Quel giorno la morte l’ha guardato dritto negli occhi, ma poi decise di scegliere un’altra scuola.