Dopo la nomina di Bianchi Clerici alla Privacy, il Carroccio ha annunciato di non voler scegliere il suo candidato. Così lascia il posto a un altro uomo in quota centrodestra. Polemiche sulla scelta del Pd di affidarsi alle associazioni. Nucara: "E' lottizzazione"
La Lega rinuncia al suo candidato nel prossimo cda Rai e consente al Pdl di scegliere un uomo in più. Una scelta che avviene dopo la nomina di Giovanna Bianchi Clerici (Lega) al Garante della Privacy e che delinea il ricompattamento dell’asse dell’ex maggioranza, almeno su alcuni fronti. A questo, infatti, si aggiunge il voto di Palazzo Madama che ha approvato la proposta del presidente dei senatori del Carroccio Federico Bricolo di accantonare l’articolo 1 sulla riduzione dei deputati per passare ai voti sul Senato federale. Un’iniziativa condivisa anche dal vicepresidente dei senatori del Pdl Gaetano Quagliariello e dal suo partito, al contrario del centrosinistra, dove Zanda parla di “baratto” tra il semipresidenzialismo voluto dal partito di Berlusconi e la riforma della seconda Camera.
La Lega ha presentato una proposta di legge per privatizzare la Rai, più organica rispetto a quanto era contenuto nella legge Gasparri, dove la vendita era vincolata all’azionariato popolare. In questo caso invece il testo prevede un’asta totale o parziale. Il Carroccio ha anche aggiunto di non volere indicare nessun nome per il cda del servizio pubblico, nonostante nelle settimane scorse circolasse il nome della maroniana Gloria Tessarolo, fedelissima di Luca Zaia, ma vicina anche a Flavio Tosi, tuttora nel cda di Raicinema. Il posto lasciato dalla Bianchi Clerici non sarà quindi occupato da un altro esponente in quota Lega che, come farà l’Idv, voterà scheda bianca per non fare mancare il numero legale e consentire al Pdl di votare un nome di fiducia in più.
A differenza del Partito democratico che ha scelto di sostenere Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi su invito delle associazioni, sul fronte del centrodestra continuano a circolare da settimane gli stessi nomi. Tutti legati alla politica. Tra i favoriti ci sono Antonio Verro, berlusconiano di ferro e consigliere uscente e Antonio Pilati, ex componente dell’Antitrust e ideatore della legge Gasparri, oltre all’ex ministro della Cultura Giancarlo Galan e Rubens Esposito, già capo dell’ufficio legale della Rai e oggi consulente di Raiway e dell’Agcom. Per ora, però, bocche cucite. Daniela Santanché preferisce non entrare nel merito perché “la Rai è una materia di cui non mi occupo”. Ritiene però che il servizio pubblico versi in una situazione “atipica” specie per l’indicazione del direttore generale Luigi Gubitosi arrivata direttamente da Mario Monti (diversamente da quanto prevede la procedura, secondo cui il dg deve essere nominato dai 9 membri del cda, ndr). Per Maurizio Gasparri non si tratta di scelte in controtendenza rispetto alla lottizzazione dalla politica, così come non lo sono state le nomine Agcom e quelle della Privacy. “Vorrei ricordare che Colombo è certo un esempio di impegno civile, ma anche che Tobagi è stata candidata in una lista civica a sostegno di Filippo Penati del Pd per la provincia di Milano“. Quindi secondo l’ex ministro delle comunicazioni i nomi emersi nel centrosinistra “non sono indipendenti dalla politica”, ma vicini alla formazione che ora intende sostenerli nella corsa verso viale Mazzini. Sui criteri di valutazione interna del Pdl in attesa delle valutazioni della commissione parlamentare, però, cala il silenzio. “Stiamo valutando decine di curriculum, ce ne sono di eccezionali”. Che includono, ad esempio, i nomi già usciti sui giornali. “Non abbiamo obblighi verso nessuno, sceglieremo senza pregiudizio”. Davvero leggete i cv arrivati in commissione? “E perché no? E comunque non abbiamo ancora votato per cui vedremo”. Perché non ampliare allora la scelta anche ad altre associazioni? “Noi abbiamo le nostre, legate al mondo politico”. Quali ad esempio? “Grazie, la saluto”.
Eppure la scelta delle associazioni ha suscitato malumori anche oltre il centrodestra. Nell’Italia dei Valori, ad esempio, dove secondo Antonio Di Pietro, la procedura del nuovo balletto di nomine conferma ancora una nolta la logica di “lottizzazione e spartizione, con l’aggravante di una copertura della società civile che in realtà viene usata solo come paravento”. Non la pensa allo stesso modo il collega Massimo Donadi che lo ritiene, al contrario, “un primo, e importante, segnale di cambiamento”. Parere negativo anche per il segretario del Pri Francesco Nucara perché “al criterio dell’appartenenza si è sostituito quello della rappresentanza simbolica e competenza e professionalità restano al palo”. Se i partiti hanno già deciso i loro uomini la valutazione dei curriculum arrivati in commissione di Vigilanza non inciderà martedì 26 sul voto della Vigilanza. Come è successo per Agcom e Privacy.