I Nikki Beach sono un altro mondo, club sulla spiaggia per ricconi spocchiosi. Importati dalla casa madre di Miami, sono un concept più che uno stabilimento e hanno aperto nei vari angoli del mondo, S.Barth, Puerto Vallarta, Dubai e Koh Samui in Thailandia. Sono diventati oggi i templi del peggior briatorismo d’esportazione, del cattivo gusto senza freni. Eppure il primo Nikki Beach di Miami, tanti anni fa, era partito con spirito completamente diverso. I suoi fondatori erano genitori affranti dalla perdita della figlia, che si chiamava per l’appunto Nikki, morta all’età di vent’anni in un incidente stradale. Siccome amava la musica e la spiaggia, quale modo migliore per commemorarne la memoria, aprendo un lounge pied-dans l’eau come sarebbe piaciuto a lei. E difatti all’ingresso di ogni Nikki Beach campeggia una foto di una ragazza dai capelli biondi e dagli occhi grandi, occhi che in poco tempo avrebbero dovuto catturare quante più fette di mondo.
Oggi il Nikki beach, più trash che mai, è l’ultimo posto che riporterebbe a certi valori umani. Due mondi, sempre più stridenti tra di loro, quello degli happy few, sempre più few, e quello dei comuni mortali. E proprio nel momento in cui sto per postare mi arriva l’email di Umberto Pizzi, il nostro Cartier-Bresson di Zagarolo, fotografo di vecchia scuola che ha immortalato un’epoca, quella irripetibile della Dolce Vita. La sua Rolleiflex è stata come la Lettera 22 di Montanelli. Mi scrive affranto: Cara Januaria, la vita diventa sempre piu difficile, il lavoro e diventato uno schifo, non paga più nessuno. I giornali fanno i soldi con il lavoro gratis. Quasi quasi non conviene più lavorare, si mangia tutto le tasse. Forse, se riesco a vendere il mio archivio storico, mollo tutto e mi ritiro in campagna. Comunque, l’importante è star bene, grazie al cielo io non mi lamento per questo. Ciao un abbraccio, Umberto.
di Januaria Piromallo