Fra due giorni, il 23 giugno, si chiuderà il 59esimo Festival di Cannes. Non quello del cinema, quello della pubblicità ribattezzato recentemente “Festival della Creatività“. Perché, nonostante la rassegna si sia estesa a nuove categorie come il design o il web, alla fine si tratta sempre del buon vecchio festival della pubblicità. Come se la creatività esistesse solo in questo campo, è questo il paradosso.
Che senso ha oggi il Festival? Ma soprattutto, a cosa serve premiare la creatività? È come se la comunità dei pittori si riunisse per stabilire chi sono i migliori pittori dell’anno, oppure se i musicisti decidessero di premiarsi fra di loro (impossibile: i musicisti sono ancora più iene dei pittori). Più propriamente, dato che i pubblicitari svolgono in fondo un’attività di consulenza verso le aziende, sarebbe come se i revisori dei conti si premiassero fra di loro per il bilancio annuale meglio scritto o gli avvocati per la causa meglio argomentata. Eppure avrebbero fatto semplicemente il loro lavoro.
Ma i creativi, si sa, sono narcisisti e un premio fa sempre piacere. Dà l’illusione di essere migliori, quando invece in pubblicità tutto quello che conta è contribuire al successo della Marca e al suo buon rapporto con i consumatori. Solo per narcisismo, dunque, Cyrano può uscire dal cespuglio (giusto una settimana, quanto dura il Festival), smettere di dare suggerimenti al cavaliere (la Marca) innamorato di Rossana (il pubblico) e pretendere di essere premiato per questa sua attività “creativa”. Così facendo, però, diviene lui stesso spettacolo. Ed è anche per questo che, sulla stampa, ad occuparsi di pubblicità sono sempre più spesso firme che abitualmente scrivono di intrattenimento. I pubblicitari fanno spettacolo, quando invece il loro ruolo sarebbe quello di restare dietro il cespuglio.
A Cannes si parla anche del futuro della pubblicità, si fanno convegni, seminari sulle nuove prospettive date dai media nell’era digitale e del social web. Eppure, la mentalità che continua a sopravvivere è quella vecchia, quella del meccanismo medium/messaggio, senza intravvedere nemmeno lontanamente nuove prospettive di sperimentazione che facciano perno su altri elementi del processo, che si aprano a nuovi ambiti di ricerca. Microsoft ha tenuto ieri il suo seminario sulla pubblicità, oggi tocca a Procter & Gamble e ad altre grandi marche, mentre in realtà nessun cliente ha il coraggio di investire soldi nell’innovazione accollandosi il rischio di sperimentare in questo campo. È solo una farsa.
Intanto i pubblicitari della vecchia generazione, con i loro giovani epigoni, continuano a ripetere vecchi e stanchi cerimoniali. Un po’ come la nobiltà decaduta che, a parole, sostiene di non rimpiangere affatto l’ancien regime e di essere diventata “democratica” ma all’occorrenza, nelle occasioni ufficiali, si riunisce compatta in abiti dell’800, e i suoi rampolli continuano puntualmente ad animare ogni anno il gran ballo delle debuttanti. Aboliamo i premi creativi. La creatività è una cosa troppo importante perché sia lasciata in mano ai pubblicitari.
Essere creativi è una cosa normale. Considerarla speciale è uno dei tanti sintomi di imbarbarimento della nostra civiltà.