Che senso ha oggi il Festival? Ma soprattutto, a cosa serve premiare la creatività? È come se la comunità dei pittori si riunisse per stabilire chi sono i migliori pittori dell’anno, oppure se i musicisti decidessero di premiarsi fra di loro (impossibile: i musicisti sono ancora più iene dei pittori). Più propriamente, dato che i pubblicitari svolgono in fondo un’attività di consulenza verso le aziende, sarebbe come se i revisori dei conti si premiassero fra di loro per il bilancio annuale meglio scritto o gli avvocati per la causa meglio argomentata. Eppure avrebbero fatto semplicemente il loro lavoro.
Ma i creativi, si sa, sono narcisisti e un premio fa sempre piacere. Dà l’illusione di essere migliori, quando invece in pubblicità tutto quello che conta è contribuire al successo della Marca e al suo buon rapporto con i consumatori. Solo per narcisismo, dunque, Cyrano può uscire dal cespuglio (giusto una settimana, quanto dura il Festival), smettere di dare suggerimenti al cavaliere (la Marca) innamorato di Rossana (il pubblico) e pretendere di essere premiato per questa sua attività “creativa”. Così facendo, però, diviene lui stesso spettacolo. Ed è anche per questo che, sulla stampa, ad occuparsi di pubblicità sono sempre più spesso firme che abitualmente scrivono di intrattenimento. I pubblicitari fanno spettacolo, quando invece il loro ruolo sarebbe quello di restare dietro il cespuglio.
A Cannes si parla anche del futuro della pubblicità, si fanno convegni, seminari sulle nuove prospettive date dai media nell’era digitale e del social web. Eppure, la mentalità che continua a sopravvivere è quella vecchia, quella del meccanismo medium/messaggio, senza intravvedere nemmeno lontanamente nuove prospettive di sperimentazione che facciano perno su altri elementi del processo, che si aprano a nuovi ambiti di ricerca. Microsoft ha tenuto ieri il suo seminario sulla pubblicità, oggi tocca a Procter & Gamble e ad altre grandi marche, mentre in realtà nessun cliente ha il coraggio di investire soldi nell’innovazione accollandosi il rischio di sperimentare in questo campo. È solo una farsa.
Intanto i pubblicitari della vecchia generazione, con i loro giovani epigoni, continuano a ripetere vecchi e stanchi cerimoniali. Un po’ come la nobiltà decaduta che, a parole, sostiene di non rimpiangere affatto l’ancien regime e di essere diventata “democratica” ma all’occorrenza, nelle occasioni ufficiali, si riunisce compatta in abiti dell’800, e i suoi rampolli continuano puntualmente ad animare ogni anno il gran ballo delle debuttanti. Aboliamo i premi creativi. La creatività è una cosa troppo importante perché sia lasciata in mano ai pubblicitari.
Essere creativi è una cosa normale. Considerarla speciale è uno dei tanti sintomi di imbarbarimento della nostra civiltà.