Secondo la procura, a fine 2010 i due hanno intimato all'amministrazione di acquistare camion a prezzo maggiorato in cambio dell'erogazione del servizio di raccolta per un altro mese, altrimenti la città sarebbe stata sommersa dalla spazzatura
Due imprenditori al telefono. Il veneto: “Noi facciamo come commedia”. Il tedesco risponde: “Sì, sì”. Ancora il veneto: “Senza i miei camion loro (il Comune di Napoli, ndr) sono finiti”. Concordano la strategia il veneto Stefano Gavioli, proprietario di una holding che fa affari in mezza Italia sui rifiuti, e l’omologo tedesco Adolf Lutz della ditta Smith. La vittima è il Comune di Napoli (all’epoca sindaco Rosa Russo Iervolino) e l’Asìa, la municipalizzata partenopea che si occupa di raccogliere il pattume.
Secondo la Procura di Napoli si tratta di una tentata estorsione aggravata per i quali i due imprenditori sono indagati. Hanno intimato, a fine 2010, al Comune di acquistare camion a prezzo maggiorato in cambio dell’erogazione del servizio di raccolta per un altro mese, altrimenti la città sarebbe stata sommersa dalla spazzatura visto che le ditte entranti non erano ancora pronte.
Mezzi vecchi venduti ad un prezzo di quattro milioni e mezzo, ma valevano un terzo. Un gioco semplice con la complicità dell’ex avvocato di Gavioli, Giancarlo Tonetto (finito in manette). Mentre gli altri personaggi della ‘cricca’ sono Vincenzo D’Albero, sindacalista, anche lui arrestato, che aveva il compito, in caso di bisogno, di aizzare i lavoratori contro Asìa per costringerla ad accettare i diktat di Enerambiente con la collaborazione della factotum di Gavioli, Pina Totaro, anche lei in manette. L’imprenditore tedesco funge da esca, fingendo l’interesse all’acquisizione degli automezzi per convincere i vertici dell’azienda ad accettare. Va a Napoli e partecipa, in Comune alla presenza dei vertici Asìa e dell’allora vicesindaco Sabatino Santangelo, alla commedia con un contratto di acquisto falso. La partita tra Asia ed Enerambiente finirà tra contenziosi e cause legali.
L’inchiesta riguarda il fallimento pilotato di Enerambiente, la società che ha gestito dal 2005 al 2010 la raccolta dei rifiuti in una parte della città di Napoli. Indagine che ha portato in carcere il re del sacchetto Stefano Gavioli, il veneto che sul pattume campano ha fatto soldi costruendo un sistema corruttivo nei confronti dei funzionari Asia, ancora da identificare, ed estorsivo nei confronti delle cooperative che faceva lavorare in subappalto in cambio di soldi e assunzioni clientelari. Emergono sempre nuovi tasselli in una inchiesta, partita più di un anno fa dai danneggiamenti di alcuni camion per la raccolta e che ha scoperto un mondo di colletti bianchi del nord artefici di quello che i pm chiamano “un piano criminale perfetto” mentre “la città moriva sotto i rifiuti”. Indagine complessa, coordinata dal procuratore aggiunto Giovanni Melillo ( pm Teresi, De Simone, Sepe e Santulli), condotta dalla Digos, agli ordini di Filippo Bonfiglio e dal nucleo di polizia tributaria della guardia di Finanza guidata dal comandante Nicola Altiero e dal gruppo tutela della spesa pubblica del tenente colonnello Massimo Gallo. Al termine delle indagini sono finiti in 9 in manette, 7 ai domiciliari (tra cui tre banchieri del banco di credito cooperativo del credito veneziano), altri 4 indagati. Alla fine del 2010 Enerambiente deve lasciare Napoli dopo aver ricevuto una interdittiva antimafia per i rapporti di Stefano Gavioli con Angelo Zito, soggetto ritenuto riciclatore dei soldi dei boss Graviano. Sul punto l’ex amministratore di Enerambiente Giovanni Faggiano, che vanta al telefono il suo passato nei servizi segreti, già in carcere per corruzione e tentata estorsione, ha raccontato nel gennaio scorso ai pm: “Circa i conti all’estero di Gavioli non ne so nulla. Anzi posso dire che andava spesso in Lussemburgo con Bellamio (il commercialista veneto, anche lui arrestato, ex amministratore del calcio Napoli, ndr) da Angelo Zito con buste di soldi”. Prima di lasciare Napoli, i vertici di Enerambiente, in combutta con l’imprenditore tedesco, e il sindacalista D’Albero provano a spolpare quel che resta di Asia.
Nelle carte dell’inchiesta, proprio sulla municipalizzata, spunta anche un rapporto ravvicinato tra il sindacalista Vincenzo D’Albero, arrestato per associazione a delinquere e una sfilza di reati, e Carlo Lupoli, attuale direttore delle risorse umane di Asia, non indagato. Lo stesso D’Albero che presentava ai vertici Enerambiente le liste con i nomi da assumere, che accettava pagamenti in nero per assecondare le malefatte della proprietà e che al telefono, mostrando il suo controllo sugli operai, a seconda dei suoi interessi riferiva: “Gli autisti o rientrano o gli faccio male”. I pm sul rapporto con Lupoli scrivono che dalle telefonate emerge: “Una una forte influenza esercitata dal sindacalista sul funzionario Asia, al limite di una inversione di quella che dovrebbe essere la rispettiva ‘forza relazionale’”. Più avanti chiosano: “Appare difficilmente comprensibile un’atteggiamento così tanto arrendevole in capo a un soggetto che ha il compito di gestire il personale di una grande società come Asia”.