Ieri Franco Marcoaldi intervistava Tzvetan Todorov critico letterario, filosofo, uomo intelligente, non saprei come altro definirlo. Su La Repubblica, Todorov, autore del libro dal titolo dostoeveskjiano La bellezza salverà il mondo, dice: “può anche essere che la bellezza oggi si sia rifugiata in altre attività (visto che non è più prerogativa dell’arte) prive di riconoscimento: come ci insegna il pensiero orientale, la possiamo trovare anche nei gesti minimi della quotidianità: curare un giardino, comporre un mazzo di fiori, impacchettare con cura un oggetto (…) quando un falegname costruisce un tavolo e lo fa con amore, prova un’emozione estetica: e insieme nella sua azione c’è un segno del rispetto per il mondo, che riveste una valenza morale”. Queste semplici parole mi hanno fatto capire perché in giorni personalmente luttuosi, ho ripreso in mano i libri di W.G. Sebald, iniziando a rileggere il romanzo Austerlitz.
Sento nella sua opera “un segno del rispetto per il mondo che riveste una valenza morale” e mi fa bene. Ho conosciuto questo scrittore per una strana storia: anni fa, a luglio, ero in una pensione tra le montagne che mi sono più care; vicini di stanza avevo un tedesco molto alto e dinoccolato e la sua deliziosa moglie francese. Ci scambiavamo dei saluti cortesi, un po’antichi e formali, come si addice agli amanti delle camminate di alta quota. La sera prima della mia partenza, dopo la cena calorica della pensione, mi invitarono al loro tavolo per un bicchiere di vino. Cominciai a parlare della gita che avevo compiuto quel giorno e loro mi raccontarono della loro. Alla fine della serata lui mi disse: “Devi leggere Austerlitz di Sebald”. Fui sorpresa del fatto che pur senza conoscerci, questo distinto signore mi indirizzava verso un libro, ma ancor di più fui stupita del fatto che, finita la vacanza, andai a comprarmi il libro di questo sconosciuto scrittore, segnalatomi da uno sconosciuto turista. E’ proprio vero che sono a volte i libri a sceglierci; di W.G. Sebald ho letto tutto quello che è riuscito a scrivere nella sua troppo breve vita: è morto nel 2000 all’età di 66 anni, in un incidente d’auto, come Camus. Austerlitz è uno dei suoi capolavori e io sarò per sempre grata all’altissimo signore tedesco.
La trama non basta a raccontare l’intensità e la bellezza del libro, ma è meglio di niente.
Jacques Austerlitz è un professore di storia dell’architettura, con pochi amici e senza affetti, vive a Londra in una casa spoglia, confortato dalla sua visionaria erudizione che lo porta a vagabondare tra edifici militari e stazioni ferroviarie dell’Ottocento dove i dettagli architettonici vibrano di simboli e voci di un’epoca scomparsa. C’è nella sua infanzia, un vuoto, un buco nero che ingoia i suoi tentativi di sentirsi vivo. Un giorno, nella sala di aspetto di una stazione londinese, gli viene incontro un barlume, “lacerti di memoria cominciavano a vagare alla periferia della coscienza (…)” e finalmente seguendo il filo sottile ritrova la parte mancante della tela e la storia che si srotola tra le pagine porta dritti nell’ Europa del 1939. Aveva dimenticato di sé per sopravvivere; ma per vivere deve ripartire da quella stazione e ridare libertà alla sua lingua madre.
“L’impressione di ricordare ancora qualcosa dell’atrofizzarsi in me della lingua materna, del suo echeggiare mese dopo mese sempre più fievole e rimasto dentro di me, penso, per qualche tempo almeno, come una sorta di raschiare o batter colpi prodotto da un’entità prigioniera che sempre, quando le si vuole prestare attenzione, si arresta e tace per lo spavento”. La nostra “entità prigioniera” può essere liberata da buone letture? Sì, ne sono convinta.
Voglio ricordare che Sebald fu il primo a infilare nei suoi libri delle piccole foto in bianco e nero, quasi sfuocate, che hanno un forte potere evocativo. Usanza che è stata prontamente ripresa dall’americano Foer nei suoi romanzi; ne è nata una nuova moda letteraria.