A trionfare all'estero sono soprattutto i grandi marchi industriali, ma sono i 400 micro birrifici sul territorio nazionale ad avere modificato il mercato. Secondo l'Istat siamo passati dai 190 milioni di chili di birra nel 2010 ai circa 210 milioni dell'anno scorso
La birra artigianale italiana fa il boom all’estero e non si accontenta di conquistare i pub inglesi più tradizionalisti, ma si ritaglia uno spazio di qualità anche in Giappone. Prodotta da birrifici di piccole dimensioni e con nomi suggestivi come Seta, Milady, Terzo Miglio o Pratorosso, si affianca alle bionde più industriali. Il panorama della produzione nazionale delle birre italiane è in fermento. Secondo Coldiretti l’anno passato abbiamo avuto un aumento delle esportazioni del 10% ma nella sola “Perfida Albione” l’incremento è stato addirittura del 22%. Un risultato che rappresenta un vero e proprio riconoscimento di qualità, visto che più della metà delle birre che varcano le Alpi finisce in Inghilterra e i britannici, si sa, se ne intendono parecchio. Siamo passati dai 190 milioni di chili di birra nel 2010 ai circa 210 milioni del 2011: curiosamente l’Istat calcola la birra in chili. Ma il risultato non cambia, il successo delle birre italiane è un fenomeno trainato dalla grande diffusione nel nostro Paese dei micro birrifici artigianali che negli ultimi anni hanno contribuito a modificare il panorama della birra in Italia: sono infatti quasi 400 con circa 6mila addetti.
Certo a trionfare all’estero sono soprattutto le birre prodotte dai grandi colossi industriali: hanno marchi riconosciuti, costi inferiori e tempi di produzione più rapidi. Ma i micro birrifici e gli agrobirrifici (quelli, cioè, che producono anche la materia prima) stanno riuscendo a modificare l’identità stessa della birra rendendola una bevanda raffinata e adatta anche ai piatti più ricercati. Tanto da entrare in concorrenza, in alcuni casi, con lo stesso vino. È il caso ad esempio della Pratorosso, prodotta dall’omonimo agribirrificio di Settala (Milano) che nel 2011 al Vinitaly ha preso contatto con buyer giapponesi che, dopo una visita ai campi d’orzo e allo stesso impianto, hanno acquistato una prima partita della birra lombarda e proprio in questi giorni hanno fatto partire un ordine di quasi 12mila bottiglie che verranno distribuite nei ristoranti di Tokyo. “La trattano come il vino – ha spiegato Carlo Fossati di Pratorosso – e noi la vendiamo in bottiglie da 75 cl, come se fosse un prosecco. Un apprezzamento notevole, quello del Sol Levante, visto che anche il Giappone produce le sue birre e in grande quantità. Ora stiamo guardando anche ad altri mercati come quello russo e quello statunitense e, per rimanere in oriente, quello cinese e coreano”. Ovviamente la Pratorosso non ha trascurato neanche l’Inghilterra avviando le prime trattative con alcune catene di ristoranti e trovando uno chef di eccezione come Jamie Oliver per testare le sue qualità migliori.
di Massimiliano Carbonaro