Il mio precedente post sui meriti dei tecnocrati europei ha suscitato reazioni che rivelano quanto sconosciuta sia l’Unione europea e il suo funzionamento. Riprendo dunque alcuni punti, sperando di incoraggiare una più corretta informazione.

Al lettore che si lamenta di dover pagare lo stipendio dei funzionari europei, ricordo che lo paga già a decine di migliaia di funzionari pubblici italiani, con il ritorno di servizi che è sotto gli occhi di tutti. L’Unione europea è grande più o meno quanto un solo grosso ministero italiano ma conduce politiche di portata continentale. Il suo costo è quasi irrilevante per il contribuente, comparato ai vantaggi che potrebbe ricavarne. Dico potrebbe, perché per usufruire dei tanti fondi europei bisogna chiederli e per chiederli bisogna preparare le infrastrutture necessarie al loro investimento. L’Italia in certi settori non arriva al 30% di quello che potrebbe avere. La Spagna con i fondi europei ha trasformato aride colline in prosperi uliveti, la Repubblica ceca ha ricostruito la sua industria, l’Estonia è diventata il primo paese digitale al mondo, la Germania ha risollevato dal disastro economico i suoi stati orientali, la Polonia ha ammodernato la sua agricoltura. L’incapacità italiana di ottenere fondi europei dipende tutta dall’inefficienza dell’apparato statale e dall’ignoranza dei tanti amministratori che non sanno neppure che questi fondi esistono.

Sottolineo poi che il dilagante ragionamento del povero contribuente che paga ricchi gerarchi è una deriva populista molto pericolosa. Non so che mestiere faccia il lettore che solleva questa gretta osservazione, ma non sarebbe in grado di esercitarlo senza le infrastrutture e i servizi che solo un apparato pubblico può garantire. Che poi in Italia questo apparato sia allo sfacelo non è responsabilità dell’Unione europea ma degli italiani, scontento lettore compreso.

Al lettore che si lamenta di non conoscere il Trattato di Lisbona segnalo che sui nostri siti è riportato in tutte le lingue, con tanto di commenti e osservazioni. Se poi nei nostri paesi non è fatto conoscere, è chiaramente una scelta politica: non si vuole che il cittadino sappia, che si renda conto che è in Europa, non più in Italia che si gioca la sua esistenza. Se se ne accorgesse, scalzerebbe in poco tempo i suoi politici nazionali e pretenderebbe di venire a fare politica a Bruxelles, perché ormai è solo da qui che può prendere in mano il suo destino. Il Trattato di Lisbona dovrebbe essere spiegato nei sindacati, nelle associazioni di categoria, nelle imprese, nei partiti, sui giornali e le sue opportunità studiate a fondo, anche per modificarlo, per migliorarlo e soprattutto per attuarlo. Quale politico italiano parla mai di Europa nelle campagne elettorali delle elezioni europee? Quale politico spiega che cosa verrebbe a fare al Parlamento europeo se fosse eletto? I politici nazionali hanno fatto delle elezioni europee prove generali delle elezioni politiche nazionali, snaturandole completamente e svuotandole del loro senso.

Al lettore che rivendica la sovranità nazionale contro lo strapotere europeo delle banche, della finanza e dei tecnocrati, faccio notare che sta facendo un miscuglio insensato. L’UE non gioca in borsa e la BCE non è un potere occulto che ci impone i suoi diktat. E’ un organo di governatori di banche centrali nazionali dove siamo anche noi rappresentati. I tecnocrati europei non sono eletti ed è giusto così. Neppure i dirigenti dei ministeri nazionali sono eletti, ma nominati da autorità che sono comunque emanazioni della volontà del popolo. Non sono loro che decidono e comandano a Bruxelles, ma i nostri capi di stato e di governo. Ha mai sentito parlare di vertice europeo il nostro lettore? E’ il consesso in cui tutti i capi di stato si riuniscono per prendere le decisioni che poi i funzionari europei faranno applicare. E’ tanto astruso come procedimento?

Se l’Italia crede di non essere capace di far valere il proprio interesse nell’UE è libera di uscirne. Dubito che poi riuscirà a farlo valere da sola contro il mondo intero. La sovranità nazionale che il lettore si illude di poter salvaguardare, nell’economia della globalizzazione è morta da un pezzo e non è stata sostituita da nulla. Se non appunto da banche e mercati finanziari. Perché la nostra classe politica pur di non mollare la sedia del suo piccolo feudo nazionale non accetta di costituire a Bruxelles un potere sovranazionale democratico ma forte, scaturito dal Parlamento europeo e non più emanato dai governi come accade ora. Solo a livello europeo possiamo costruire un’economia integrata e competitiva, influenzare il mondo e non esserne dominati. Solo gli Stati Uniti d’Europa ci salveranno dal declino. Ma per funzionare, gli Stati uniti d’Europa avranno bisogno di una macchina sovranazionale e indipendente, non legata a una lealtà nazionale ma votata all’interesse generale europeo. Questa macchina esiste già, è quella della funzione pubblica europea che morde il freno da decenni per realizzare questo grande ideale.

 

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