Defiscalizzazione, e soprattutto una deroga al patto di stabilità. Sono queste le richieste che una piccola delegazione di sindaci provenienti dall’Emilia terremotata ha portato a Roma, nelle aule di governo. Dove la commissione Ambiente della Camera in questi giorni sta lavorando alla conversione in legge del decreto 74/2012, con i primi interventi urgenti per le zone colpite dal sisma del 20 e del 29 maggio. Provvedimenti “necessari a rimettere in piedi una terra altamente produttiva che ha subito una vera e propria catastrofe naturale” spiega Alberto Silvestri, primo cittadino di San Felice sul Panaro, senza i quali le economie locali non potrebbero risollevarsi. Le proposte presentate dai sindaci di Ferrara, Tiziano Tagliani, di Modena, Giorgio Pighi e di San Felice sul Panaro, Alberto Silvestri, che hanno raggiunto la Capitale insieme al presidente della provincia di Modena, Emilio Sabattini e al vice sindaco di Mantova, Germano Tommasini, sono le stesse che le piccole e grandi comunità emiliane avevano elencato subito, quando ancora la polvere degli edifici crollati a causa dei sussulti della terra non si era diradata. E attendono di essere accolte.
Perché per ricostruire servono risorse, e quelle promesse dallo stato, 2,5 miliardi di euro in tre anni, non sono sufficienti per i 53 comuni colpiti dal sisma. Basti pensare che solo l’agricoltura emiliana ha subito danni per circa 70 milioni di euro, le imprese per 2 miliardi di euro, 1335 sono i beni artistici e culturali lesionati tra le province di Ferrara, Modena, Bologna e Reggio Emilia, e circa 5.000 gli edifici pubblici e privati completamente inagibili. Cifre ancora parziali a causa dello sciame sismico persistente che rallenta i sopralluoghi, per le quali però i rappresentanti delle aree terremotate hanno deciso di agire subito. Chiedendo che venga data loro la possibilità di investire le risorse delle casse comunali attraverso una maggiore flessibilità nella gestione delle spese sostenute a causa del terremoto, con l’ampliamento del tetto di sforamento del patto di stabilità a 90 milioni e l’esclusione degli interventi a favore di progetti per la ricostruzione dai vincoli che tale patto impone.
“Dobbiamo poter aggiungere ai fondi stanziati dallo stato quelli presenti nelle casse dei nostri comuni – spiega Silvestri – quindi chiediamo che la deroga al patto sia almeno di un paio d’anni, perché non si può pensare che la devastazione provocata da un evento così catastrofico si risolva in pochi giorni”.
Il secondo punto discusso in aula dalla delegazione riguarda invece la defiscalizzazione. Anche se non si sarebbe esplicitamente parlato di ‘no tax area’, infatti, i rappresentanti dei comuni terremotati hanno chiesto che venga concesso un alleggerimento fiscale per le persone e per le imprese. “Siamo consapevoli della scarsità di risorse a disposizione – ha sottolineato Sabattini – tuttavia in una fase di decrescita economica ci sono seri rischi di deindustrializzazione. Per questo proponiamo misure sul versante fiscale e del costo del lavoro che consentano alle imprese di rimanere sul territorio, generando occupazione e benessere e contribuendo in maniera significativa al Pil del Paese”.
A un mese dal primo terremoto, quello di magnitudo 5.9 che il 20 maggio ha cambiato, in pochi secondi, la vita di migliaia di persone, infatti, il bilancio in Emilia è ancora negativo. A Finale Emilia, epicentro del primo sisma, ci sono aziende che per ripartire ce la stanno mettendo tutta e alcuni piccoli imprenditori, ad esempio, hanno speso i risparmi di una vita per riaprire a settembre. Il prima possibile insomma. “Ma se lo stato non interviene – ha detto il sindaco Fernando Ferioli – oltre che terremotati saremo presto disoccupati”. Il principale problema, spiega il primo cittadino,”è che mancano le certezze”. Quest’anno, infatti, il governo Monti ha previsto di stanziare 500 milioni di euro per i 53 comuni terremotati, ma se ancora non è chiaro quando i fondi arriveranno e in che percentuale verranno ripartiti tra le città devastate, è invece certo che l’80% delle case inserite nella zona rossa è inagibile in maniera diretta o indotta, cioè a causa della prossimità con un edificio pericolante. E che molte imprese rischiano la chiusura perché oltre al terremoto hanno pagato il prezzo della crisi economica. “Monti ci deve liberare almeno dall’incertezza – ha ribadito Ferioli – dobbiamo sapere di quanto possiamo disporre per ricostruire e defiscalizzare è indispensabile. Perché significherebbe utilizzare il denaro che già abbiamo per fare qualcosa”.
A San Possidonio, comune altrettanto devastato dal terremoto, il centro storico è ancora tutto da mettere in sicurezza. “Ci stiamo lavorando – ha detto Rudi Accorsi, il primo cittadino – ma le direttive emanate dal governo non semplificano le cose”. Per loro, comune con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, l’ingresso nel patto di stabilità avverrà il 1 gennaio 2013, ma la preoccupazione è già alta. “Quando ci sarà il passaggio temiamo che si bloccherà tutto – spiega Accorsi – noi stiamo avviando diversi progetti per rimettere in piedi la città, riaprire le imprese e i negozi, mettere in sicurezza le case. Ma se ci fermano i pagamenti sarà un grosso problema per tutte le economie locali”.
A Mirandola, sede del polo biomedicale numero uno in Italia, si cerca di ripartire senza aspettare l’intervento del governo. Ma servono “più squadre per effettuare i controlli”. Con il fantasma della delocalizzazione che minaccia il tessuto economico locale, l’amministrazione è al lavoro per accertare l’agibilità di quanti più edifici possibile, perché garantire il lavoro e la produzione è considerato prioritario. “Ancora oggi l’80-85% del centro di Mirandola è inagibile – ha sottolineato Roberto Ganzerli, assessore all’Urbanistica – la città è tutta sfollata”. Con una stima i danni che si aggira attorno ai 5 milioni di euro, la “velocità” nel ricevere soluzioni dal governo Monti è quindi essenziale.
”Noi siamo convinti che se non ci sarà una risposta vera relativamente al patto di stabilità i sindaci che si troveranno di fronte a spese indifferibili, come ad esempio la messa in sicurezza degli edifici scolastici, potranno andare oltre i limiti imposti – ha concluso il presidente dell’Anci, Graziano Delrio – difenderemo in tutte le sedi coloro che lo faranno. Noi non chiediamo le mani libere per fare i fatti nostri”, ma per rendere dei servizi ai cittadini