“In Lombardia la legge sull’aborto è disattesa”. Lo denuncia Sara Valmaggi, esponente del Pd e vice presidente del Consiglio regionale, che punta il dito contro l’elevato numero di medici obiettori che non eseguono interruzioni volontarie di gravidanza. E contesta i dati ufficiali: “Per l’assessorato alla Sanità – attacca – l’obiezione di coscienza tra i ginecologi è al 63,6 per cento, ma secondo altre testimonianze è ancora più alta”.
Le parole di Valmaggi arrivano pochi giorni dopo che la Consulta ha giudicato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata per la legge 194 da un giudice di Spoleto. La norma, così, è stata salvata sulla carta. Ma in diversi ospedali le donne faticano a vedere riconosciuto un loro diritto. Succede in diverse parti d’Italia, dove la media totale degli obiettori, secondo i dati del ministero della Salute riferiti al 2009, è del 70,7 per cento per i ginecologi, del 51,7 per gli anestesisti, e del 44,4 per il personale non medico. E succede anche in Lombardia, dove i dati diffusi dall’assessore Luciano Bresciani per il 2011 parlano di un 63,6 per cento di ginecologi che esercitano l’obiezione di coscienza (41,3 per cento di anestesisti e 43,1 di personale non medico).
La situazione in Lombardia, secondo Valmaggi, è ancora più critica di quanto riportino i numeri ufficiali. “Diverse testimonianze – sostiene la consigliera del Pd – evidenziano notevoli differenze fra i dati dichiarati e la situazione reale. In provincia di Mantova i non obiettori, secondo i dati forniti da Bresciani, sono 13. In realtà, secondo altre fonti, sono dieci”. Situazione analoga in provincia di Sondrio, dove ci sarebbe solo un ginecologo non obiettore anziché tre, e all’ospedale Riuniti di Bergamo, dove i non obiettori sarebbero tre e non sette. Poi c’è il caso di Monza: secondo la Regione i ginecologi non obiettori sono 29, ovvero la metà di quelli che lavorano nelle due aziende ospedaliere della provincia, ma Valmaggi ha serie perplessità, visto che secondo le testimonianze raccolte dal Pd sono appena sei. Un calcolo che porta a risultati analoghi a quelli ottenuti da Sara Martelli, una ricercatrice e attivista che ha raccolto dati sulla provincia di Monza.
Per far fronte alla carenza di medici disposti a eseguire interruzioni volontarie di gravidanza, spiega Martelli, alcune strutture sono costrette a fare intervenire in sala operatoria medici consulenti già andati in pensione oppure ‘gettonisti’, ovvero liberi professionisti pagati a prestazione. In un convegno organizzato il 22 maggio a Roma dall’associazione Luca Coscioni e dall’Aied (associazione italiana per l’educazione demografica), la ricercatrice ha sottolineato come questa situazione comporti un aggravio di spesa, visto che gli ospedali sono costretti a pagare personale esterno per quelle prestazioni che non vengono eseguite dai medici assunti. E le cose sono destinate a peggiorare: “Molti medici non obiettori sono anziani e prossimi alla pensione – mette in guardia Martelli – mentre quelli più giovani sono quasi tutti obiettori”.
In diversi casi, più che da reali ragioni di coscienza, la scelta dell’obiezione è motivata da ragioni di opportunità: “I non obiettori – sostiene Chiara Cremonesi, capogruppo di Sel in consiglio regionale – spesso finiscono su un binario morto della carriera, visto che si ritrovano a fare solo interruzioni volontarie di gravidanza”. Poi ci sono anche scelte di convenienza legate agli assetti di potere negli ospedali, “in una regione dove gran parte della sanità è in mano a Comunione e liberazione”, spiega Cremonesi, che ha organizzato per giovedì prossimo un incontro al Pirellone sulla legge 194 a cui parteciperanno anche Marilisa D’Amico, docente di Diritto costituzionale all’Università degli studi di Milano, la filosafa della scienza Chiara Lalli e Mario Riccio, medico di Piergiorgio Welby.
Gli stessi dati ufficiali della Regione, presi per veri, descrivono già una situazione con diverse criticità. Nell’azienda ospedaliero di Treviglio (Bergamo) i non obiettori sono solo quattro ginecologi su 28 (il 14,3 per cento) e un anestesista su 25 (4 per cento): “Questo spiega come mai in queste strutture sono state eseguite nel 2011 solo dieci delle oltre 18mila interruzioni volontarie di gravidanza effettuate in Lombardia”, commenta Valmaggi.
Situazioni analoghe, secondo i numeri dell’assessorato, si registrano al Sant’Anna di Como (i ginecologi obiettori sono 23 su 26, l’88,5 per cento), all’azienda ospedaliera di Cremona (15 ginecologi su 19 scelgono l’obiezione, 78,9 per cento), al Niguarda di Milano (20 su 24, l’83,3 per cento), negli ospedali della provincia di Sondrio (16 su 19, l’84,2 per cento) e nell’azienda ospedaliera di Gallarate in provincia di Varese (21 su 23, 91,3 per cento).
Cifre che per una donna spesso si traducono nella necessità di spostarsi da una zona all’altra della Lombardia, alla ricerca di un ospedale dove abortire. E, visto che i dati raccolti da Valmaggi descrivono una situazione ancora più critica, il Pd nei prossimi giorni presenterà alla giunta guidata da Roberto Formigoni un’interrogazione per chiedere i numeri sull’obiezione suddivisi per singoli presidi ospedalieri, anziché aggregati per azienda ospedaliera, e il tasso di mobilità dei pazienti tra le diverse strutture.
Il caso lombardo non è isolato. Anche nel Lazio, per esempio, i dati ufficiali sono stati di recente contestati. La Laiga (Libera associazione italiana dei ginecologi per l’applicazione della legge 194) sostiene che i ginecologi obiettori non sono l’80,2 per cento riportato dal ministero, ma l’84 per cento e salgono al 91,3 per quanto riguarda l’aborto terapeutico.
“La questione va ripresa sul piano culturale – commenta Mauro Buscaglia, primario di Ostetricia e ginecologia al San Carlo di Milano -. Molti obiettano perché eseguire interruzioni di gravidanza non è un lavoro qualificante. In sé e per sé non piace a nessuno farle, ma è lo strumento attraverso cui la donna può scegliere”. A 34 anni dall’approvazione della legge 194 “bisogna rimettere in piedi un momento di impegno civile, culturale e politico”.
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