“Naturalmente attaccanti” è questo lo slogan della campagna pubblicitaria che sponsorizza il Gay Village, l’evento organizzata ogni anno a Roma dalla comunità Lgbt e che si protrarrà fino al 15 settembre. Un calciatore azzurro in tacchi a spillo rossi è l’immagine dei manifesti della rassegna arrivata alla sua undicesima edizione. Tutti i riferimenti alle esternazioni di Cassano sono puramente casuali. Però in quell’avverbio “naturalmente” si racchiude il senso della manifestazione, incluso il Gay Pride romano, ci dicono i tanti intervistati. “Nella comunità Lgbt ci stanno tante persone comuni che non hanno nulla a che spartire con le trans delle sfilate carnevalesche organizzate durante i Pride, quell’immagine è rassicurante e fa il gioco di chi vuole discriminare e ghettizzare questo mondo”. “Tenersi per mano o darsi un bacio fa ancora scandalo, siamo troppo indietro rispetto all’Europa e per essere nell’anno 2012” afferma una ragazza lesbica 35enne con il sogno un giorno di diventare madre. “Non siamo riuscite a fare un passo, e questa è tutta colpa dei politici e della comunità Lgbt, nemmeno la legge sull’omofobia siamo riusciti a far approvare”. Fare outing in Italia ha ancora un costo sociale troppo alto. Ma in alcuni ambienti come nel calcio sarebbe impossibile. “Un calciatore meritevole di maglia azzurra che dichiara di essere omosessuale? Sarebbe fatto fuori, emarginato, perché non conforme all’immagine virile da macho” afferma una ragazza “eppure se lo facesse un calciatore darebbe coraggio e smuoverebbe un po’ le acque” di Irene Buscemi
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