Lo Stato dell’Arizona ha il diritto di fermare un individuo e chiedergli i documenti. Lo stabilisce la Corte Suprema Usa in una sentenza che avrà effetti decisivi sui modi in cui l’immigrazione verrà gestita e controllata negli Stati Uniti nei prossimi decenni. La sentenza è una parziale vittoria per i gruppi che in questi anni hanno chiesto regole più severe per arginare l’arrivo di migliaia di migranti, in particolare dal Messico e dagli altri Paesi dell’America centrale. Soprattutto, questa sentenza diventerà uno dei temi più caldi del dibattito politico delle prossime presidenziali. Gli otto giudici della Corte (il nono, Elena Kagan, non ha partecipato al voto per il suo precedente ruolo di avvocato dell’amministrazione Obama) dovevano dichiararsi sul complesso della legge sull’immigrazione firmata dal governatore dell’Arizona Jan Brewer nel 2010, e mai entrata in vigore per l’immediata opposizione dell’amministrazione Obama.
La legge stabilisce che la polizia dello Stato ha il diritto di controllare i documenti di un individuo, uomo o donna, sospettato di essere illegalmente negli Stati Uniti. Di più: il testo criminalizza pesantemente gli immigrati (definendo un ‘‘reato’’ cercare lavoro, in mancanza di documenti regolari) e permette alla polizia dello Stato di compiere arresti senza mandato, sulla base di un semplice sospetto di immigrazione irregolare. La regolamentazione decisa in Arizona aveva sollevato due anni fa l’immediato sdegno delle associazioni ispaniche e in generale dei gruppi pro-immigrati, che ne avevano contestato il carattere ‘‘razzista’’: gran parte di quelli fermati dalla polizia sono infatti ispanici o persone di colore. E l’amministrazione Obama era immediatamente intervenuta per bloccare il provvedimento, affermando che l’immigrazione è un tema di esclusiva competenza federale. La Corte (all’unanimità, quindi anche con il voto dei giudici liberal) ha dato ragione all’Arizona sul tema più scottante: quello dei fermi e dei controlli. Scrivono i giudici che, poiché ‘‘centinaia di migliaia di stranieri deportabili sono arrestati in Arizona ogni anno’’, i poliziotti dello Stato hanno il diritto di visionare i documenti delle persone fermate. L’Arizona non può però, secondo la Corte, sostituirsi al governo federale nella gestione dell’intero fenomeno immigrazione. Non può quindi compiere arresti senza mandato, né criminalizzare chi cerca lavoro senza documenti. Un giudizio sfumato, quello della Corte Usa, che è stato comunque immediatamente definito ‘‘una vittoria’’ dal governatore dell’Arizona, Jan Brewer, secondo cui ‘‘la nostra polizia è ben preparata a gestire la situazione con metodi del tutto legali’’.
Delusione è stata invece espressa dai gruppi pro-immigrati. Erika Andiola, un’attivista dell’Arizona, ha affermato che ‘‘questo è un altro segnale per la comunità ispanica: se hai la pelle scura, sei un target perfetto per la polizia’’. La sentenza della Corte dà a questo punto via libera a tutti quegli Stati – Alabama, Georgia, Indiana, South Carolina, Utah – che in questi mesi hanno votato leggi fortemente restrittive in tema di immigrazione. Praticamente certa è anche l’utilizzo della sentenza a fini di polemica elettorale. L’entourage del presidente Obama ha più volte fatto capire di essere pronto a usare la legge come strumento contro Mitt Romney. Il candidato repubblicano, che in un primo tempo aveva espresso il suo appoggio alla Brewer, ha negli ultimi giorni ammorbidito le sue posizioni, nel timore di perdere gran parte del voto ispanico. Moderando i toni sull’immigrazione, Romney potrebbe però deludere gli elettori del Tea Party e i settori più conservatori del suo partito. La sentenza — una delle più importanti degli ultimi decenni, proprio per gli effetti che avrà sulla società e sull’economia americana del futuro — è stata accolta da centinaia di attivisti delle opposte fazioni, che da giorni stazionano fuori della Corte. A questi si mischiano migliaia di manifestanti in attesa di un’altra sentenza che potrebbe avere effetti esplosivi, e che sarà resa pubblica nelle prossime ore: quella sulla riforma sanitaria di Barack Obama.