Una montagna di soldi e la chiusura di siti web. Con queste richieste Enel ha trascinato davanti al giudice Greenpeace Italia per la campagna contro l’inquinamento da carbone che ha messo nel mirino le centrali dell’ex monopolio di Stato. In una citazione depositata la scorsa settimana al Tribunale di Roma Enel chiede al giudice di prendere provvedimenti urgenti per sospendere “l’attivismo di Greenpeace che è andato degenerando oltre la legittima manifestazione del pensiero e concretandosi in una aggressione di insusitata, ingiustificata e intollerabile violenza diffamatoria”. Tali da offendere decoro e immagine della società. L’udienza è fissata per martedì mattina alle 11.30 alla prima sezione civile del tribunale di Roma. Ilfattoquotidiano.it pubblica in anteprima la contro-relazione dei legali di Greenpeace.
E si apre già il caso politico, con i senatori del Pd che mettono le mani avanti: “Sarebbe inaccettabile qualunque limitazione alla libertà di informazione di Greenpeace, Enel pensi a rivedere le proprie strategie industriali smettendo di investire soldi pubblici in tecnologie dannose per la salute come il carbone”.
Nella querela per diffamazione mossa da Enel il presidente Giovanni Mancini e il legale Salvatore Cardillo chiedono al giudice designato Damiana Colla di inibire a Greenpeace la diffusione dei messaggi della campagna mediatica di mobilitazione “Bollette sporche” che è partita a maggio per contestare a Enel le sue presunte responsabilità come “primo killer del clima”: stop al video del 28 maggio che spiega perché, stop al sito dedicato (www.facciamolucesuenel.org) , alle t-shirt, ai volantini, ai fac-simile di bolletta spediti a 100mila cittadini per informarli e sensibilizzarli. Nella richiesta di censura finisce anche il videoclip della canzone “E’ nell’aria” di Adriano Bono & Torpedo Sound Macine e Meganoidi utilizzata come colonna sonora della campagna.
Pesanti le richieste economiche. Enel chiede al giudice di condannare Greenpeace al pagamento di 10mila euro per ogni giorno di inesecuzione delle eventuali disposizioni inibitorie e mille euro per ciascun militante che dovesse proseguire sulla via della contestazione. L’importo della causa – scrivono gli stessi legali di Enel – resta indeterminato ma già nel 2009 era arrivata a Greenpeace Italia una lettera con richiesta di risarcimento da 1,6 milioni per le azioni contro le centrali a carbone del gruppo dal 2006 al 2009.
“La lettera – racconta il direttore esecutivo di Greenpeace Italia Giuseppe Onufrio – aveva probabilmente uno scopo intimidatorio perché non ha avuto seguito”. Non a caso era arrivata alla vigilia della conferenza sul clima di Copenhagen e non aveva destato particolare clamore, anche perché la notizia sui giornali italiani non trovò spazio, se non dopo la pubblicazione sul Financial Times. Ma ora ci risiamo ed Enel, stavolta, fa sul serio con la prima cuitazione in guidizio e lo scontro in aula si annuncia durissimo.
Greenpeace ha già fatto sapere che non arretrerà di un millimetro: “Se pensano che ci faremo intimidire sbagliano – dice Onufrio – noi continuiamo aspettando ovviamente di sapere cosa dirà il giudice perché la causa inzia adesso, non finisce. Il giudice nel giro di qualche giorno prenderà misure di cautela, vederemo quali. Però questo non ci impedità di continuare, magari usando altri canali e strumenti. Nel caso faremo una strategia di contro attacco dove i contenuti saranno riproposti in altri modi, forme e canali. Ma sarà ancora più pesante”.
In queste ore i legali di Greenpeace Italia, Luca Gastini, Alessandro Gariglio e Giuseppe Rombolà, hanno chiuso una memoria difensiva che sarà presentata al giudice e che Il Fatto anticipa in anteprima. Il documento sovverte gli equilibri stessi della citazione di Enel. “Con la loro azione legale – sostiene Cariglio – i legali dell’azienda puntano il dito contro il linguaggio e i metodi degli attivisti e si guardano bene dall’entrare nel merito della vicenda. E’ un’occasione preziosa per rimettere in fila le cose perché il punto è e resta il danno che Enel produce all’ambiente e all’uomo e su questo impostiamo la nostra linea difensiva per far valere finalmente le nostre ragioni”.
Ma i toni usati nelle campagne sono davvero al limite della criminalizzazione pubblica, non temete la condanna? “Noi siamo piccoli – scandisce il direttore Onufrio – e i piccoli devono gridare più forte per farsi sentire. Ma non abbiamo superato i limiti della “continenza” ma tradotto in termini verbali quello che è scritto nei numeri. Del resto non abbiamo i mezzi di Enel che per propagandare la sua “bolletta pulita” può investire grandi risorse. E’ un’azienda da 70 miliardi di budget, il suo capo da solo guadagna 4 milioni e mezzo di euro l’anno, una cifra che noi superiamo di poco avendo 58mila sostenitori”. In effetti nel 2011 ad aumentare sono state le bollette e il compenso per il top mananger Fulvio Conti(salito del 40% a quota 4,37 milioni), i profitti sono andati in picchiata del 5%.
Ma la guerra si poteva evitare? “No. Abbiamo tentato ogni strada per condizionare le strategie del gruppo che – va ricordato – per il 30% è ancora dello Stato e dovrebbe perseguire scopi di sviluppo sostenibile. Ma il Tesoro lascia fare come fosse una società privata. Abbiamo tentato tutte le strade. Attraverso Fondazione Banca Etica, che raccoglie l’azionariato critico dal 2007, abbiamo provato a portare all’ordine del giorno del Cda il tema del danno climatico e per la salute, niente da fare. Prima di avviare la campagna abbiamo mandato in antemprima ai vertici di Enel la documentazione che abbiamo raccolto per invitare la società ad un confronto. Niente”.
E allora si va al cuore della questione. Enel, primo killer del clima? “Sì, le emissioni dalle centrali a carbone Enel hanno un impatto sanitario dell’ordine di un morto al giorno, 366 l’anno per la precisione”. Il calcolo si basa sulla proiezione alle centrali Enel dei parametri usati negli studi sulla “mortalità in eccesso” lo scorso novembre dall’Agenzia Europea per l’Ambiente sulle emissioni in atmosfera delle 20 centrali più inquinanti d’Europa. Ad adattare la metodologia dell’EA al parco termoelettrico di Enel è stato l’istituto oladnese Somo. Nel rapporto si legge che “le morti premature associabili alla produzione di energia da fonti fossili di Enel per l’anno 2009 in Italia sono 460. I danni associati a queste stesse emissioni sono stimabili come prossimi ai 2,4 miliardi di euro. La produzione termoelettrica da carbone costituisce una percentuale preponderante di questi totali: a essa sono ascrivibili 366 morti premature, per quell’anno, e danni per oltre 1,7 miliardi di euro. Sul suo primato c’è ormai poco da dire. Per dati di emissione di anidride carbonica è in assoluto la prima azienda in Italia, ma è perfino in controtendenza perché le emissioni italiane nel 2011 sono scese e quelle dell’Enel sono aumentate. E la stessa cosa succede in Europa dove Enel ha visto aumentare le sue emissioni di CO2 dal 2010 al 2011 da 68 a 78 milioni di tonnellate. Ora il fatto che abbiamo fatto una campagna, che è l’altra contestazione che ci muovono, è che Enel non solo ha la maggior parte delle centrali relativamente all’impatto sanitario che calcolato solo sulle centrali a carbone gli altri operatori Enel conta per circa il 64% quindi è di gran lunga l’operatore più importante, non solo Enel ha aumentato la sua produzione a carbone dal 34% al 41% contro una media nazionale del 13%. Ha in progetto due nuove centrali di conversione a carbone, quella di Porto Tolle vicino a Rovigo e quella di Rossano Calabro. Se le facesse la sua quota di produzione di carbone dal 41 andrebbe oltre il 50%”.
Numeri che l’Enel ha sempre respinto come inattendibili e che anche nell’atto di citazione sono solo sfiorati e poi sbrigativamente archiviati. In una nota la società ha ribadito che ritiene la campagna di Greenpeace “gravemente denigratoria e priva di fondamento”. Il motivo in poche righe: “Le attività dell’aziende sono sottoposte alle norme e ai controlli delle istituzioni locali, nazionali e internazionali. Circa la metà della energia elettrica che il Gruppo produce è priva di qualunque tipo di emissione, compresa l’anidride carbonica: una percentuale tra le più alte rispetto a tutte le altre grandi utilities al mondo. Inoltre attraverso la controllata Enel Green Power, Enel ha in programma investimenti nelle fonti rinnovabili per oltre sei miliardi di euro nei prossimi cinque anni, un impegno che ha ben pochi paragoni a livello globale. Infine Enel ricorda che solo il 12% dell’energia elettrica italiana è prodotta con il carbone contro una media europea di circa il doppio”.
Anche nel testo scritto al giudice, insieme alle contestazioni, Enel enumera le sue certificazioni, rimarca le ottemperanze ai livelli di legge e in un passaggio spiega come le scelte energetiche legate al carbone siano dettate soprattutto dalla scelta di mettere al bando il nucleare. “Sul fatto che il referendum abbia costretto Enel a optare per uno sviluppo del carbone, come si legge, è ridicolo perché si sa benissimo che anche se si fosse inziato a costruire una centrale nucleare ci volgiono 10 anni per vederla in funzione. la quota da nuove rinnovabili di Enel in Italia è un misero 8%, è questa la sostenibilità?”, taglia corto Onufrio.
Come finirà la guerra del carbone in tribunale? “A volte si perde e a volte si vince ma come attivisti non ci spaventiamo. L’insegnamento di Gandhi è la nostra guida: “Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci”. Ultimamente abbiamo avuto diversi decreti penali di condanna – che convertono in sanzione pecuniaria pene detentive – e ovviamente ci opponiamo ogni volta e andiamo a processo anche per affermare un principio: gli attivisti di Greenpeace non sono dei criminali”. E i primi a muoversi in difesa di Greenpeace sono i senatori “ecodem” del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante: “L’Italia è un paese libero dove nessuno può mettersi al di sopra delle regole democratiche con censure fuori dal tempo.” Domani in tribunale, alle 11.30, si saprà se è davvero così.