L’Accademia di Belle Arti di Venezia e, in particolare, Alessandro Di Chiara, professore di Antropologia delle arti presso la stessa, ha organizzato per il 29 e 30 giugno un simposio nazionale, dedicato alla Filosofia dell’arte calcistica, articolato in tre sezioni, ‘ontologia del calcio’, ‘fenomenologia del calcio’, ‘estetica del calcio’, con otto relazioni, una tavola rotonda, la proiezione di un video e un concerto di chiusura, curato dal compositore Nicola Cisternino.
Dobbiamo far finta di nulla, o possiamo discuterne criticamente impostazione e contenuti? Sono dell’opinione che la filosofia sia in grado di misurarsi con qualsiasi altra dimensione, anzi che abbia la necessità di confrontarsi in genere con l’extra-filosofico; non credo, invece, a una filosofia pura, asettica, chiusa in se stessa, insensibile al fascino delle epoche storiche e delle rispettive contemporaneità, una filosofia immobile, identitaria e quasi sospesa in un limbo intangibile e inattingibile, a meno che non si faccia parte del Kreis di quei “potenti pensatori”, evocati nel blog da qualcuno dei miei interlocutori. Mi piacciono i filosofi che hanno stabilito un rapporto coinvolgente con il vissuto e non quelli che, utilizzando una chiave con cui aprire qualsiasi porta, parlano in astratto di tutto.
Anche il calcio, pur nei suoi aspetti deteriori – ma forse questi stessi aspetti non sono ben presenti e non attraversano dall’alto e dal basso l’intero tessuto istituzionale delle società contemporanee? –, può offrire spunti di riflessione. Non mi vergogno di aver letto con interesse il libro di uno dei nostri giornalisti più lucidi e colti, Sandro Modeo, dedicato all’allenatore portoghese Josè Mourinho. Un libro con l’esergo molto significativo che riassume il credo di Mourinho, “chi sa solo di calcio non sa niente di calcio”, formula efficace che si può estendere e applicare a qualsiasi altra dimensione e per la quale è necessario uscir fuori dall’impasse autoreferenziale di una disciplina, di un’attività, perché il segreto del vero è celato, invece, proprio in quelle relazioni che si tendono ad emarginare come inessenziali, mentre il vero, l’autentico, sta in esse. Non si tratta di una forzatura o un paradosso considerare dal punto di vista filosofico Josè Mourinho perché l’allenatore portoghese si è sempre ispirato esplicitamente, nei suoi sistemi di allenamento come nelle sue scelte tattiche, alla filosofia, più in particolare alla ‘filosofia della vita’ del primo Novecento (Georg Simmel, Henri Bergson), per esaltare il ruolo delle motivazioni su quello delle competenze individuali e collettanee di una squadra di calcio.
Un secondo allenatore che può essere ricordato per la stessa vocazione generalista è Arrigo Sacchi, non a caso autore di un’interessante prefazione al libro di Sandro Modeo. L’argomentazione, secondo cui un allenatore di calcio è ancora più imprescindibile dei giocatori stessi, viene fondata a partire dall’analogia con altre funzioni esemplari come quelle espresse da un regista teatrale o cinematografico o quella di un direttore d’orchestra.
La tesi secondo cui l’influenza di un allenatore sulla squadra è pressoché irrilevante, in quanto non partecipa direttamente alla competizione come i giocatori, è altrettanto fuorviante della tesi secondo cui un regista sarebbe irrilevante rispetto allo spettacolo perché non vi prende parte o a quella secondo cui il ruolo di un direttore d’orchestra sarebbe minoritario in quanto non rientra né nell’organico strumentale né in quello vocale della stessa. Anche in questo caso l’argomentazione è del tutto filosofica: una totalità funziona compiutamente se è autosufficiente o se è eterodiretta? Si tratta di un problema squisitamente filosofico cui hanno dato un contributo speculativo pensatori della statura di un Leibniz.
Il simposio nazionale dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia, rifuggendo dalla tirannia intellettuale di affermazioni quali “io parlo di filosofia”, “io sono la filosofia”, si porrà anche di questi problemi.