Maturità a Rebibbia: correzione prove scritte. Mentre aspetto il resto della commissione sento rumori e suoni provenire dall’area dei passeggi dei semiliberi, dove già da ieri era tutto un’armeggiare e spostare di sedie e pedane. L’agente di guardia sotto la sezione, come sempre gentilissimo, mi dà il permesso di andare a vedere di che si tratta. Attraverso un corridoio buio, esco in questa “aria” che non conoscevo e trovo una situazione particolare.

Un pianista ispirato accenna le dolci note de “La donna cannone”. Sul palco oscilla un capannello di detenuti tra cui alcuni “matterelli”, i minorati dell’Opg (l’ospedale psichiatrico giudiziario della terza sezione). Prende il microfono Massimiliano, uno dei nostri migliori studenti, e comincia a cantare con una delicatezza, una soavità, che forse neanche un De Gregori in stato di grazia avrebbe saputo esprimere.

È talmente coinvolgente da ipnotizzare per qualche minuto tutti i presenti, rappresentanti di categorie troppo spesso, per loro stessa natura, in conflitto: alle prime file siede il direttore con una sua vice; sulla destra, sotto una sorta di porticato, alcuni educatori, con il capo dell’area trattamentale mischiato ad alcuni ergastolani; tra le file dei detenuti seduti girano gli agenti, tra cui Rocco, quello che da anni partecipa alle rappresentazioni teatrali della compagnia “Stabile Assai”. Come un guitto, zompetta sotto il palco Turco, l’educatore che ha fondato e dirige la compagnia, appassionato musicista: detta i tempi e con ampi gesti da direttore d’orchestra sprona i ragazzi ad alzare il tono quando la canzone arriva al ritornello: “…e con le mani amore, con le mani ti prenderò”. È un momento: tutti, dico tutti sono attraversati dalla musica e dal suo potere magico di far sentire inspiegabilmente vicine identità così distanti. La tensione emotiva esplode in un sincero, irrefrenabile applauso.

Fuori, è una giornata africana: la città, bruciata dal sole e paralizzata dallo sciopero dei mezzi pubblici, si scioglie in un mare di lamiere infuocate. Ma noi in quel momento non lo sappiamo, non sappiamo più niente. Qui dentro, in questo povero spazio di cemento delimitato da alte mura e reti metalliche, il tempo si ferma e per un attimo tutti dimenticano ruoli e problemi, stanchezza e crisi, per lasciarsi trasportare dalla musica. Una volontaria, al termine della canzone, scoppia a piangere. Cerca di sottrarsi ma viene portata sul palco: emozionata e in lacrime ringrazia tutti di quest’esperienza.

Faccio chiamare Massimiliano per complimentarmi. Lui è piuttosto sorpreso, non pienamente consapevole di quello che, con quelle poche note ispirate, è stato capace di suscitare. Mi permetto di suggerirgli di coltivare questa sua vocazione e lui: “Me fa ppiacere, professo’, me fa ppiacere che ce fosse pure lei, noo sapevo che ce fosse pure lei a sentimme”.

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