Inizia con quindici minuti di ritardo. Un quarto d’ora che sa di accademico. Perché al Concerto per l’Emilia si è scritto ieri sera un bel capitolo di storia della musica. Sul palco dello stadio Dall’Ara di Bologna, davanti a 36573 spettatori (1.097.190 euro d’incasso), ci sono saliti parecchi professori della canzone italiana. Non tutti ma una fetta grossa, larga, transgenerazionale, ultrapop, d’autore e nazionalpopolare come non erano mai state insieme.
Talmente moderna che quando il bravo presentatore Rai, Fabrizio Frizzi, elenca coloro i quali si sono presentati nelle zone terremotate nei giorni scorsi partono ovazioni e bordate di fischi. Le prime per il Dalai Lama, quasi fosse una rockstar. I secondi, piuttosto percepibili per il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che si trasformano in un “buu” pesantissimo sul nome di Benedetto XVI: ululato che seppellisce sacra romana chiesa, santi, navigatori, poeti e perfino la povera basilica di San Luca che svetta sullo stadio Dall’Ara da ottant’anni.
Nulla da dire. I 40mila vogliono ascoltare la musica e farla risuonare come un eco infinito alle popolazioni terremotate che sono a poche decine di chilometri da qui. Trenta euro magari non son bastati e ci è scappata pure la t-shirt “L’Emilia trema ma non molla”.
Inizia Zucchero con Il suono della domenica. Qualche brivido, perché il maledetto terremoto è arrivato proprio di domenica mattina e Adelmo Fornaciari la scossa l’ha sentita anche lui dalle parti di Reggio Emilia. Poi il bluesman si alza in piedi, posa la chitarra e propone un Per colpa di chi, marchio di fabbrica dell’ultimo decennio: ruspante, contadino, pura bassa emiliana.
Le radici emiliane s’irrobustiscono subito, diventano una quercia antica ed è il primo grande boato della serata. Francesco Guccini, nativo di Modena, scende dall’Appennino e lascia la traccia più poetica e commovente della serata: Il vecchio e il bambino. Un Guccini in grande forma, straordinario. Il gigante dell’Emilia d’autore, colui che questo concerto con Beppe Carletti l’ha ideato. A seguire è salita sul palco Caterina Caselli: “Mi sento una debuttante. Manco da 42 anni”. Per fare un uomo, canta, incisa mezzo secolo fa. Con lei Guccini. Mai cantata insieme dal vivo. Ed è una grande prova, nonostante per la Caselli l’emozioni giochi brutti scherzi nel prendere la tonalità. Ma è un trionfo.
“E’ una platea enorme. Molti non sono qui per me, spero di accontentare tutti”, spiega il maestrone. Bonus track della Caselli che da solista riprende tutta la nostalgia di un evergreen come Arrivederci amore ciao.
Poi tocca sempre a Guccini presentare il rocker che l’ha voluto in Radiofreccia ad interpretare un burbero barista. “E ora un’artista che si presenta in due parole: Luciano Ligabue”. Chitarra a tracolla e due brani come Un giorno di dolore e Il meglio deve ancora venire. L’applausometro di arboriana memoria va in tilt.
Il fuori programma più riuscito è quello di Raffaella Carrà. Arrivata all’ultimo momento per offrire una versione di Rumore, su base registrata, con celebre rovescio della chioma ripetuto più volte, ha un effetto trascinamento per una folla in preda ad un ballo scatenato: “Ho il padre emiliano e la mamma romagnola, impossibile non esserci”. L’appello ai “potenti” della Raffa nazionale, quello per alleggerire la burocrazia che riguarda le popolazioni colpite dal sisma, diventa così una specie di ultimatum.
I tasselli dell’Emilia Romagna in musica si compongono lentamente, lo show dura più di tre ore, si va oltre la mezzanotte. Nel cuore dello spettacolo I Nomadi con il nuovo leader, Cristiano Turato. Un ragazzo giovane che non avrà il timbro di Danilo Sacco, ma che grazie ad un Io Vagabando cantato in coro da tutti i presenti, perfino dagli ambulanti delle piadine, porta il gruppo di Beppe Carletti al top del gradimento serale.
Eccellente anche il bolognesissimo blocco dove gli Stadio, anzi Gaetano Curreri, accoppiati a un pimpante Gianni Morandi, ricordano Lucio Dalla cantando Piazza Grande: “Siamo in tre”. Ma anche Samuele Bersani, set psichedelico e un trascinante Chicco e Spillo, come Cesare Cremonini e Laura Pausini con L’anno che verrà (“Caro Lucio ti scrivo”) ricordano il cantautore scomparso il marzo scorso che a suo agio sarebbe sicuramente stato in una serata di solidarietà e vicinanza con chi soffre.
Luca Carboni, invece, tenta la mimetizzazione nel vestire con il grande assente: Vasco Rossi. Cappellino e giacchetta modello Blasco, sciorina strofe che sono levigatissimo must anni ottanta, ascoltate a Bolzano come a Palermo: “Silvia lo sai che Luca si buca ancora”, “Ho comprato anche la moto, usata ma tenuta bene”. E ancora verso la conclusione Mondo per un Cremonini al piano solo e l’esplosione dei Modena City Ramblers riunitisi per l’occasione con Cisco per Viva la vida e Cento Passi che portano i 36mila e rotti del Dall’Ara a saltare.
Un plauso particolare va ad un altro ragazzaccio di Bologna: Andrea Mingardi con storica canottiera nera. A sorpresa fa un pezzo dei Beatles, memorabile come lo fu l’interpretazione di Joe Cocker a Woodstock, roba della preistoria del rock da dove tutto ebbe inizio, With a little help from my friends. La folla non capisce molto bene, ma la maestria e il coraggio di Mingardi meritano davvero il prezzo del biglietto che andrà in beneficienza.
Un unico neo. Di fronte ad un finale moscetto, modello bar che all’ora di chiusura caccia i clienti e tira giù la saracinesca con ancora gente dentro, tornano i Nomadi e cantano velocemente Dio è morto. Nessuno, ma nemmeno gli ultimi tre o quattro artisti che hanno suonato, torna sul palco. Esigenze (dispotiche) della Rai che si è inventata anche linguaggio, tempistica e luci della serata, ma una cantatina finale, tutti insieme, corale, una strofa a testa, quella che rimane nell’album dei ricordi, l’hanno sempre fatta tutti. Avrebbe dato l’idea che oltre alla solidarietà ci fosse stato anche vero piacere di stare insieme sul palco. E che a questo punto, evidentemente, non c’era.