“In Calabria centrale e meridionale si è verificata una delle sequenze più forti della storia sismica italiana, tra l’inizio di febbraio e la fine di marzo del 1783. Il 5 febbraio iniziò una sequenza gigantesca, una serie di terremoti intorno a magnitudo 7. Località come Oppido Mamertina, Santa Cristina d’Aspromonte e Bagnara Calabra furono completamente rase al suolo. Le vittime sono stimate in circa 30 mila”. Romano Camassi è un sismologo dell’Ingv di Bologna, nonché responsabile di Edurisk, un progetto educativo per la riduzione del rischio. Ed è anche un esperto in storia dei terremoti, una disciplina non solo affascinante, ma fondamentale per valutare il rischio sismico, andando a recuperare dati di epoche in cui i sismografi non esistevano.
“Non mi piace il termine Big One, perché finisce per mitizzare eventi di energia elevata, certo, ma decisamente più piccoli di terremoti che si verificano in altre parti del mondo e dai quali ci si può proteggere benissimo. E poi Calabria e Sicilia sono caratterizzate non da grandi terremoti isolati, ma da ‘grappoli’ di scosse a distanza di mesi o anni”, premette Camassi. Lo stesso terremoto di Messina e Reggio Calabria del 1908, con magnitudo momento stimata in 7,1, fu preceduto “da un terremoto di magnitudo 7 in Calabria centrale l’8 settembre 1905, e da un altro forte terremoto nell’ottobre del 1907”. Negli annali resta anche “una sequenza altrettanto drammatica nella Calabria centrale e nel crotonese fra il marzo e il giugno 1638, con magnitudo intorno a 7 e un impatto gigantesco”.
Proprio i dati storici dovrebbero convincere i politici e gli amministratori locali a scelte edilizie e urbanistiche in linea con il livello di rischio. Perché Camassi conferma il potenziale distruttivo tra Messina e Reggio se un sisma analogo a quello del 1908 dovesse ripetersi. Ma spiega anche che a Tokyo, città antisismica per eccellenza, lo stesso identico evento produrrebbe un ordine di grandezza di morti largamente inferiore. “E non è un allarme di oggi”, aggiunge. “Sono zone che gli esperti studiano da tempo, e numerose ricerche confermano quel grado di rischio, anche per altre città calabresi e siciliane”.
Anche Camassi è convinto che, allo stato delle conoscenze, chiunque affermi di poter prevedere il momento in cui un terremoto si verificherà sia sostanzialmente un ciarlatano. L’unica prevenzione possibile, di conseguenza, consiste nella mappatura del rischio, nei piani d’emergenza, nell’educazione della popolazione e nella riduzione della vulnerabilità sismica di edifici pubblici e privati. Perché “un sisma come quello del 1908 potrebbe verificarsi tra un anno, tra dieci o tra cento. Ma in contesti urbani anche scosse molto meno intense, tra i 5,5 e 6, possono fare molti danni”. Soprattutto in contesti come quelli della Sicilia, “o peggio della Calabria, dove ho visto anche scuole in condizioni disastrose (guarda il videoreportage di ilfattoquotidiano.it). Tutte le amministrazioni comunali del centro-sud hanno ricevuto una dozzina di anni fa il Rapporto Barberi sulla vulnerabilità sismica degli edifici pubblici. E’ finito direttamente in archivio”.