A dirlo l'indagine europea Dafne III che indaga cosa succede in bambini e ragazzi quando sono testimoni degli abusi sulle loro madri: danni permanenti che causano bullismo e aggressività. Ma Sandra Chistolini, responsabile del progetto, dice "un cambiamento culturale è possibile ed è già in atto"
Il 100 per cento delle madri che in casa subiscono violenza sta zitto per difendere l’unità familiare. Ma quasi tutte (il 97 per cento), se ad andarci di mezzo sono anche i figli, rompono il silenzio. A dirlo è un’indagine europea, Daphne III, condotta parallelamente in Italia, a Cipro, in Romania e in Slovacchia per scoprire quali sono le conseguenze su bambini e ragazzi della violenza sulle madri.
LA RICERCA – Stando agli ultimi dati Istat, nel 62,4 per cento dei casi i figli assistono alla violenza domestica e quasi la metà di essi ha meno di 11 anni, secondo Daphne III. Il danno è permanente: se l’episodio avviene prima dei 15 anni, può portarli a non desiderare né una famiglia né una relazione propria per paura di ripetere il comportamento di cui sono stati testimoni. Aggressività verso i genitori e i pari, bullismo, scarsa autostima sono solo alcune delle conseguenze più diffuse tra i figli di madri vittime di violenza, che, nel 100 per cento dei casi, inizia con una minaccia verbale. E non si ferma alle parole: il 79 per cento delle intervistate ha uno o più referti del Pronto soccorso.
Tra i pretesti che danno il via all’escalation, futili motivi, “stati emotivi dell’uomo definiti come egocentrismo e gelosia”, separazione, gravidanza non desiderata, gestione familiare e successo professionale della donna. Le testimonianze italiane, raccolte grazie ai verbali anonimi forniti dalla Polizia soprattutto nel Sud Italia e nelle isole, riguardano donne che hanno subito violenza tra i 16 e i 60 anni, con figli fino a 27. “Sono quelle che hanno rotto il silenzio, perciò riconoscono la violenza e l’hanno narrata e ben definita in ogni sua manifestazione” spiega Sandra Chistolini, responsabile del progetto Daphne III per l’Università Roma Tre. Ilfattoquotidiano.it l’ha intervistata.
Sandra, il silenzio che accompagna la violenza domestica è una peculiarità tutta italiana o è riscontrabile anche negli altri Paesi oggetto dell’indagine?
E’ presente in tutti i Paesi che abbiamo analizzato. Le ragioni sono culturali, religiose, valoriali. La letteratura scientifica documenta ampiamente il dato anche per altri Paesi come quelli del Nord America. Tra i motivi del silenzio delle donne, oltre al voler proteggere la famiglia vi è anche la paura di rimanere senza partner, nonché la speranza che questo sia pentito della violenza e possa non farne più uso.
La distribuzione geografica della ricerca è casuale o al Sud ci sono più casi di violenza (o più casi di violenza denunciati) in seno alle famiglie?
Sono state riscontrate molte difficoltà a raccogliere i verbali, per questo abbiamo accettato quello che è stato fornito senza poter procedere a un campionamento proporzionale per ripartizione geografica.
La persona che esercita violenza è sempre il partner o anche altro parente?
In alcuni casi sono altri familiari. Emerge comunque il ciclo ripetitivo della violenza: il carnefice e la vittima sono stati a loro volta oggetto di violenza nella famiglia di origine, dove hanno appreso il ruolo di colui che aggredisce e di colei che subisce sin da piccoli, senza sperimentare un’alternativa valida che rompesse la dinamica.
Pensa che sia in atto, o sia possibile, un cambiamento culturale nella società italiana?
Il cambiamento è possibile ed è in atto sia a livello di sensibilizzazione dei mass media, sia nella coscienza delle donne.
Le istituzioni hanno coscienza di quanto sia grave e diffuso questo fenomeno?
Le istituzioni (polizia, carabinieri, ospedali, scuola, centri anti-violenza, associazioni, parrocchie, vicinato, università) talvolta sono lente, disattente, passive, e come prima reazione in genere si tende a non prestare fiducia a quello che la donna racconta o a sminuirne la portata.
Quali sono i comportamenti violenti perpetrati abitualmente a livello psicologico, sociale, economico, che la maggior parte di noi donne italiane non riconosce come tale?
Le violenze verbali e psicologiche sono le prime a comparire e sono anche quelle più nascoste. Infatti solo i referti medici che mostrano la violenza fisica fanno iniziare di fatto l’iter della difesa giuridica della donna. Poi arrivano lo stalking e la privazione economica. La violenza sociale, che emerge chiaramente in tutte le narrazioni delle donne, si manifesta nell’isolamento della famiglia e nella difficoltà dei minori testimoni di violenza a stabilire relazioni con i pari. Il danno al minore, di cui la nostra ricerca Daphne III si è occupata, è ancora tutto da esplorare.