Doppio “benvenuto a Cipro“. Mentre si appresta a sedersi sulla poltrona della Presidenza di turno dell’Ue (a partire dal 1 luglio), Nicosia diventa ufficialmente il quinto Paese dell’Eurozona (dopo Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna) a chiedere l’aiuto di Bruxelles per salvare le proprie banche. Parliamo di 1 miliardo e 800 milioni di euro indispensabili a ricapitalizzare Cyprus Popular Bank (CPB), il secondo istituto di credito del Paese. Se pensiamo ai 100 miliardi promessi alla Spagna, non sembra una grossa cifra, ma tenendo in considerazione che si tratta di ben il 10 per cento del Pil cipriota, si capisce subito la vera dimensione dell’emergenza. A pesare, neanche a dirlo, il contagio della vicinissima Grecia.
In perfetto stile spagnolo, Cipro ha aspettato l’ultimo minuto per chiedere l’aiuto di Bruxelles, sia per ragioni di orgoglio nazionale (che stava per costare davvero tanto a Mariano Rajoy) che per non finire sulla black list dell’ormai famigerata Troika (Ue-Bce-Fmi). Scontato un memorandum d’intenti anche per l’isoletta del Mediterraneo, ovvero il prezzo da pagare per l’aiuto internazionale in termini di riforme, privatizzazioni e liberalizzazioni. D’altronde un’altra scelta Nicosia proprio non ce l’aveva: Cyprus Popular Bank ha bisogno di questa cifra entro il 30 giugno per rientrare negli standard europei di capitale che le banche devono avere a disposizione. Ecco allora che il Presidente Demetris Christofias ha dovuto ingoiare il rospo e telefonare a Bruxelles.
“Lo scopo dell’assistenza richiesta è di contenere il rischio di contagio economico da parte del settore finanziario a causa della sua ampia esposizione all’economia greca”, è la posizione ufficiale del governo. Si stima infatti che le banche cipriote detengano circa 22 miliardi di debito privato greco, una vera bomba ad orologeria in caso di uscita dall’Euro di Atene. “Siamo già ampliamente in ritardo”, ha detto Stelios Platis, economista cipriota. “Chiedere così tardi l’aiuto del fondo salva Stati Efsf ha danneggiato il Paese e l’intero settore bancario”. Ma la vera mazzata Nicosia l’ha ricevuta lunedì scorso, con il downgrading a BB+ (in gergo “spazzatura”) da parte dell’agenzia di rating americana Fitch. Secondo l’agenzia, il Paese potrebbe aver bisogno di altri 4 miliardi di euro in aggiunta al 1,8 necessario in questi giorni. Parliamo del 23 per cento del Pil dell’intero Paese, e ad aprire il portafogli non può che essere il governo, un copione già visto. Il downgrading di Fitch ha anche costretto la Bce a non accettare più le obbligazioni cipriote. Insomma, l’unica soluzione è restata Bruxelles.
Pur di non chiedere l’aiuto dell’Ue e di sottostare alle draconiane misure di austerità che la vicina Grecia conosce bene, Nicosia si era già rivolta alla Russia, dalla quale aveva ottenuto 2,5 miliardi. Sul tavolo era finito anche un ipotetico prestito bilaterale dalla Gran Bretagna, con la quale l’isola ha stretti rapporti anche per la presenza di un’importante base militare. Ma di questi tempi, “aiutare i Paesi del Sud” a Londra è un messaggio abbastanza difficile da fare passare politicamente.
“Accolgo con piacere la richiesta formale di assistenza finanziaria che ho ricevuto oggi dalle autorità cipriote”, ha detto Jean-Claude Junker, presidente dell’Eurogruppo. “Adesso esamineremo velocemente la richiesta e risponderemo in tempi stretti”. Certo, a patto che Cipro accetti delle condizioni, “che includono misure mirate a rispondere alle principali sfide dell’economia cipriota, a partire proprio dal settore finanziario”, ha aggiunto Junker. “Mi aspetto che Cipro le applichi con forte determinazione”. In questi casi, avere paura è legittimo.