A parlare Slavina Perez, animatrice del blog Malapecora. Che su "Porn for women" spiega: "Bene la proliferazione di quel tipo di immaginari, ma il soggetto donna contiene in sé una molteplicità di gusti e tendenze così diverse per cui mi fanno un po' rabbia le autrici che, con ingenuo candore semplicistico o per strategia di marketing, dicono di fare porno per donne"
L’eccitamento di una donna è diverso da quello di un uomo. O di un’altra donna. Lo sa bene Slavina Perez, spiazzante blogger di Malapecora. Il 20 giugno è uscito, edito da Perrone, il suo libro “Racconti erotici per ragazze sole o male accompagnate”. Ilfattoquotidiano.it l’ha intervistata per sapere cosa pensi una ricercatrice di post-pornografia femminista del porno fatto da donne per le donne.
Cosa pensi del porno per donne della società segreta di Cambridge?
In generale penso che sia sempre un bene la proliferazione di immaginari pornografici, quindi ben venga la buona volontà delle signore di Cambridge che hanno ideato Porn for Women. Credo però che il soggetto donna contenga in sé una molteplicità di gusti e tendenze così diverse (ad alcune donne, pensa un po’, gli uomini non piacciono affatto, neanche se sono gentili e puliscono la casa) per cui mi fanno un po’ ridere e un po’ rabbia le autrici che, con ingenuo candore semplicistico o per strategia di marketing, dicono di fare porno per donne.
Questo tipo di “porno femminista” rischia quindi di ricadere negli stereotipi della nostra sessualità (etero, tradizionale, romantica)?
Non declino quasi mai il femminismo al singolare. Ci sono tanti femminismi diversi – ci sono femministe bigotte e borghesi per le quali la parola empowerment significa “occupare qualche posto di comando”. Questo femminismo non è il mio. Però esiste. Ed è ovviamente più visibile e legittimato socialmente del “mio” trans-femminismo, che è precario, queer (che ridefinisce la relazione tra sesso e genere), anticapitalista e postcoloniale.
Stai dicendo che nel porno femminista c’è una rivendicazione politica?
Considero – e la mia lettura è legata alle riflessioni della filosofa Beatriz Preciado, che a sua volta si rifà a Foucault – la pornografia un dispositivo di controllo biopolitico che storicamente è stato funzionale alla società patriarcale per imporre una determinata visione della sessualità. Il nostro modo di vivere la sessualità – possiamo esserne consapevoli o meno – è strettamente legato ai modelli visuali e narrativi coi quali entriamo in contatto. L’idea di produrre pornografia femminista contiene automaticamente il germe della dissidenza ed è ovviamente una proposta politica, ancor prima che estetica.
Quanto è maschile il porno mainstream?
Analizzando da un punto di vista anche solo formale la pornografia audiovisuale mainstream, notiamo anche se non siamo esperte che il punto di vista (la posizione della camera da presa) e la ritmica (15-20 minuti per ogni scena di sesso) sono funzionali all’immedesimazione e alla tempistica della meccanica masturbatoria maschile. Secondo una concezione del genere che potremmo definire almeno antiquata, le donne non erano mai considerate dai produttori di porno come target, ovvero potenziali consumatrici di pornografia. Si dovevano accontentare degli Harmony e di essere oggetto di una rappresentazione spesso degradante e fuorviante: se quasi nessun uomo sa riconoscere un orgasmo femminile (di lì la penosa, ricorrente domanda che ogni donna ha sentito almeno una volta nella vita: “Ti è piaciuto?”) è anche per il semplice motivo che la pornografia tradizionalmente intesa l’ha sempre ignorato (la conclusione di ogni scena di sesso pornografica standard è l’eiaculazione maschile e punto).
Quali sono i ruoli pornografici da decostruire secondo te?
La pornografia alla quale io lavoro si definisce post-pornografia proprio perché è una rilettura critica della pornografia tradizionale e punta a rappresentare e dar voce alle “deviazioni” dalla normatività eteropatriarcale: corpi diversi, pratiche diverse, diversità di relazioni possibili.
Chi si incuriosisce maggiormente alla postpornografia?
Gente di tutti i tipi, accomunata dall’inquietudine di non ritrovarsi nella rappresentazioni dominanti o semplicemente dalla curiosità di scoprire qualcosa di nuovo su di sé e sulle possibilità del corpo.
Chi ne resta più traumatizzato?
Le persone che hanno più lavoro da fare per decostruire gli stereotipi oppressivi che dominano la loro sessualità e la percezione di sé, monolitica, monodirezionale, chiusa e finita. Io credo comunque che finché c’è dubbio c’è speranza: chi resta traumatizzato e lo riconosce (non chi semplicemente svaluta il tutto come “questo lo dicevano già gli hippy” o “siete delle pervertite che non trovano un uomo che se le prende”) ha buone possibilità, a posteriori, di rielaborare e maturare singolarmente un pensiero critico. La postpornografia è un input, non è la cosa che ti libera. Chi vuole liberarsi lo deve fare lavorando quotidianamente sulle sue pratiche, le relazioni e il linguaggio.
A chi farebbe bene avvicinarsi alla postpornografia?
Fa bene a chi ha voglia di mettersi in discussione e scoprire che nel sesso c’è molta più politica di quanto si pensi.
Quali saranno le sue conseguenze culturali sul lungo periodo, secondo te?
Sul lungo periodo non so prevedere niente. Lavoro sul presente, che è già abbastanza impegnativo.