Donne di Fatto

Non è una carriera per donne

Anna Maria Tarantola sembra essere un’eccezione: solo il 35 per cento dei dipendenti della Banca d’Italia sono donne e la percentuale delle dirigenti è ancora più bassa. Se sulla scarsa presenza femminile nelle posizioni di vertice influiscono fattori socio-demografici, molto più difficile è spiegare perché le donne restano in netta minoranza anche tra i neoassunti laureati. Dai dati sui concorsi degli ultimi anni per economisti e giuristi risulta che erano donne il 61,5 per cento dei partecipanti, ma il 35,5 per cento degli idonei. Le ipotesi non confermate dalle analisi.

di Claudia BiancottiGiuseppe IlardiClaire Lavinia Moscatelli, lavoce.info, 22 Giugno 2012

Nell’aprile del 2012 i dipendenti della Banca d’Italia sull’intero territorio nazionale erano 6.970; le donne erano il 35 per cento del totale e ricoprivano il 22 per cento delle posizioni dirigenziali. Queste percentuali sono in crescita: nel 2002 le donne rappresentavano solamente il 28 per cento degli 8.447 dipendenti e il 15 per cento dei dirigenti. Ancora oggi, tuttavia, le donne sono meno della metà dei neoassunti laureati.

Poche donne in banca
La presenza relativamente modesta di donne nei gradi superiori risente di fattori socio-demografici. Oltre l’80 per cento dei dirigenti della Banca ha un’età compresa tra 50 e 65 anni e un’istruzione universitaria; in questa classe di età ci sono poche donne laureate e ancor meno specializzate in materie rilevanti per le funzioni istituzionali di una banca centrale.
Meno chiaro è il motivo della minore presenza delle donne tra i neoassunti laureati. Dall’inizio degli anni Novanta il livello medio d’istruzione femminile ha prima raggiunto e poi superato quello maschile: nel 2010, 25 ragazze su 100 tra i 25 e i 34 anni erano laureate, contro circa 16 ragazzi. (1) Persiste la storica differenza nelle discipline scelte, con una maggioranza femminile nelle facoltà umanistiche e maschile in quelle scientifiche, ma sul principale mercato di riferimento della Banca d’Italia, quello dei dottori in economia o giurisprudenza, la quota di donne è pari al 56 per cento, in linea con la media dei principali paesi avanzati, come si evince dai dati Ocse.

Effetti di composizione e autoselezione dei candidati
Tra il 1998 e il 2009 si sono svolte sette selezioni destinate a economisti e sei destinate a giuristi; in totale si sono presentati 13.397 candidati, di cui 423 sono stati dichiarati idonei. Le donne erano il 61,5 per cento dei partecipanti, solo il 35,5 per cento degli idonei.
L’inversione nelle proporzioni tra generi è stata osservata soprattutto dopo la prima fase concorsuale, un test preselettivo a risposta multipla che comprendeva 120 domande articolate in tre sezioni: attitudinale, linguistica, specialistica. Ogni domanda prevedeva quattro opzioni di risposta. A ciascuna risposta corretta corrispondeva un punto, a ciascun errore una penalità di 0,3 punti; era consentito omettere risposte, senza conseguenze sul punteggio. In tutte le sezioni gli uomini hanno risposto a più domande e hanno sbagliato meno rispetto alle concorrenti (tavola 1). Nelle due fasi successive, una prova scritta consistente nello svolgimento di due temi e una prova orale, il vantaggio è stato mantenuto.

Il limitato insieme di informazioni raccolte nella domanda di partecipazione al concorso non consentiva di spiegare il divario nei punteggi del test. (2) Per approfondire il fenomeno, ai 2.441 candidati per le due selezioni per giuristi svolte nel 2010 e nel 2011 – anch’esse caratterizzate da migliori risultati maschili – è stato somministrato un questionario supplementare a compilazione volontaria riguardante il percorso post-laurea, il background familiare, le motivazioni lavorative e alcuni tratti psico-attitudinali. Sono pervenute 1.156 risposte, che hanno consentito di appurare l’esistenza di significativi effetti di composizione inizialmente non registrabili. Infatti, tra gli uomini sono più diffuse alcune caratteristiche positivamente correlate con il punteggio ottenuto e, presumibilmente, con l’abilità lavorativa. Rispetto alle donne, gli uomini si caratterizzano per una maggiore probabilità di avere conseguito un titolo di studio post-laurea e di avere precedenti esperienze di lavoro in impieghi a tempo pieno; provengono con maggiore frequenza da famiglie con più elevati livelli di istruzione, da atenei prestigiosi e dalle Regioni del Nord Italia, aspetti che potrebbero essere connessi con una migliore qualità dell’intero percorso di studi. Gli uomini inoltre dichiarano di avere partecipato a un minor numero di concorsi pubblici, risultandone però vincitori in più occasioni; indicano meno spesso di aver risposto anche alle domande del test su cui non si sentivano preparati (figura 1). Molte di queste differenze non si riscontrano nella popolazione complessiva di laureati nelle stesse materie, suggerendo che esiste un processo di autoselezione:  parteciperebbero al concorso della Banca i candidati maschi più abili, mentre questo non sembra avvenire per le femmine.

A questi elementi di eterogeneità è riconducibile il 40 per cento del gender gap nei risultati concorsuali. Un ulteriore 34 per cento è attribuibile a effetti differenziati delle stesse variabili: ad esempio, avere un figlio di età inferiore ai 14 anni svantaggia le donne, ma non gli uomini. Il risultato potrebbe riflettere l’asimmetria nei carichi di lavoro domestico e di cura della famiglia, che nel nostro paese è particolarmente pronunciata. (3)

Circa un quarto del divario rimane non spiegato. Potrebbe segnalare l’esistenza di un fenomeno che ha recentemente attirato l’attenzione della professione economica: la discriminazione implicita.

Discriminazione implicita?
La discriminazione implicita si riscontra quando un datore di lavoro accorda involontariamente una preferenza a candidati appartenenti a un certo gruppo, in assenza di elementi che ne dimostrino la migliore qualità rispetto agli altri. (4) Questo può dipendere, ad esempio, dalla predisposizione di procedure di selezione che premiano tratti più frequenti in quel gruppo, ma non correlati con l’abilità lavorativa, oppure dall’introiezione inconsapevole di pregiudizi. (5)
Nel caso del test pre-selettivo, la differenza di genere nella quota di risposte mancanti poteva suggerire l’esistenza di discriminazione implicita basata sull’avversione al rischio. Secondo una recente branca della letteratura in materia, i maschi sono più propensi a prendere decisioni caratterizzate da elevata variabilità nei possibili risultati. (6) Ad esempio, di fronte a una domanda su un argomento su cui non sono preparati, gli uomini potrebbero optare per una risposta a caso, mentre le donne potrebbero passare alla domanda successiva. Data la formula di valutazione sopra descritta, una simile strategia avrebbe comportato un vantaggio per i primi, senza però segnalare una maggiore competenza nelle materie oggetto d’esame. (7)

La formula è stata modificata per i test somministrati dal 2010 in poi, aumentando la penalità per gli errori a 0,7 punti; una risposta a caso sarebbe così risultata conveniente solo a condizione che si fosse in grado di escludere almeno due delle possibili risposte. In seguito alla modifica, la differenza tra maschi e femmine nel numero di risposte mancanti si è parzialmente ridotta, ma ciò non è avvenuto per i punteggi (tavola 2): almeno con riferimento a questa specifica modalità di definizione del test, l’ipotesi di discriminazione implicita non è corroborata.

Un’altra direzione di ricerca ha riguardato gli effetti che l’autostima può determinare sul gender gap. Secondo numerosi studi, le donne tendono a essere meno sicure di sé rispetto agli uomini. In un contesto dove è richiesto di selezionare rapidamente una risposta su quattro per una lunga sequenza di domande le donne potrebbero, a parità di preparazione, essere svantaggiate dalla minore fiducia nelle proprie capacità, in particolare nella propria intuizione. (8) Ai candidati delle sessioni concorsuali 2010 e 2011 è stato somministrato in traduzione italiana il questionario di Rosenberg, uno degli strumenti più usati per la misura diretta dell’autostima. (9) I dati raccolti non hanno però consentito un’analisi approfondita, poiché la componente di errore di misura è risultata molto elevata. (10) Allo stato attuale, l’ipotesi legata all’autostima non risulta confermata. Pertanto, rimane aperta la ricerca dei motivi della peggior performance femminile nei concorsi.

(1) Fonte: Eurostat, http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/education/data/database.
(2) Data e luogo di nascita; data, votazione e ateneo di conseguimento della laurea. 
(3) D. Burda, M. Hamermesh e P. Weil, “Total work, gender and social norms”, NBER Working Paper 13000, 2007. Una donna italiana dedica alle attività domestiche 75 minuti al giorno in più rispetto ad un uomo; il dato è più che triplo rispetto alla media degli altri paesi occidentali.
(4) Per una sinossi della letteratura si vedano M. Bertrand, D. Chugh e S. Mullainathan, “Implicit Discrimination”, American Economic Review 95(2): 94-98, 2005.
(5) È stato osservato che panel di selettori composti esclusivamente da uomini tendono ad assumere altri uomini, anche in assenza di convinzioni sessiste. In media, infatti, i candidati hanno stili di comunicazione che risultano più familiari ai selettori rispetto alle candidate: ne risulta una maggiore chiarezza nell’interazione che può essere scambiata per maggiore competenza (R. Hunter, “Implicit discrimination in the workplace”, Sydney: Federation Press, 1997). Sui pregiudizi si vedano ad esempio: J.D. Levinson, e D. Young, “Implicit gender bias in the legal profession: an empirical study”, Duke Journal of Gender Law & Policy 18(1): 1-44, 2010; L. Beaman, R. Chattopadhyay, E. Duo, R. Pande e P. Topalova, “Powerful women: does exposure reduce bias?”, The Quarterly Journal of Economics 124(4): 1497-1540, 2009.
(6) Eckel e Grossman, “Men, women and risk aversion: experimental evidence”, vol. 1 di Handbook of Experimental Economics Results, cap. 113, 1061-1073, New York: Elsevier, 2008.
(7) La scelta di una strategia di risposta mediamente vantaggiosa potrebbe segnalare, d’altronde, una pronta comprensione delle regole di computazione del punteggio e l’abilità di stimare correttamente l’effetto atteso dei propri comportamenti. Un simile tratto potrebbe essere ritenuto desiderabile ai fini dell’assunzione; in tal caso, i candidati dovrebbero però essere informati che è oggetto di valutazione.
(8) K. Kling, J. Hyde, C. Showers e B. Buswell, “Gender differences in self-esteem: a meta-analysis”, Psychological Bulletin 125(4): 470-500, 1999.
(9) Per il testo originale inglese, si vedahttp://www.wwnorton.com/college/psych/psychsci/media/rosenberg.htm, estratto da M. Rosenberg, “Society and the adolescent self-image”, Princeton: Princeton University Press, 1965.
(10) Questa componente è probabilmente legata al social desirability bias, ovvero al desiderio di proiettare un’immagine di sé coerente con l’archetipo attribuito al datore di lavoro piuttosto che la propria autentica.