Le cronache locali permettono di capire che il vero tema della serata non erano gli abiti, né tantomeno la storia dell’arte, ma il lusso come valore assoluto: il parterre comprendeva “uno stuolo di clienti danarosi arrivati per l’occasione dai cinque continenti, molti dei quali hanno dovuto ripiegare sull’aeroporto di Pisa per parcheggiare il loro jet privato”. Alcune fotografie – che sembrano ritagliate da Roma di Federico Fellini – documentano poi la cena “esclusivissima” che l’Enoteca Pinchiorri ha servito sulla terrazza degli Uffizi, ospite d’onore un Matteo Renzi immemore dell’austerità che grava sul Paese che egli si candida a guidare.
Una nota comunica che, in questo trionfo della sobrietà, l’obolo pagato per ‘privatizzare’ i pubblici Uffizi è stato davvero risibile: 30.000 euro. È vero che altri 100.000 euro Ricci li ha spesi per realizzare l’impianto di illuminazione della Loggia dei Lanzi da lui stesso progettato, ma parliamo di cifre irrilevanti. Pochi giorni fa, per esempio, il Louvre ha accolto un ricevimento di Ferragamo, che aveva sponsorizzato la mostra di Leonardo. Nemmeno quello è stato un bel segnale, ma i francesi hanno tenuto la sfilata fuori dalle sale del Museo, ben alla larga dalle opere (tutto si è svolto nel Peristilio Denon): e ciò nondimeno hanno ottenuto “alcuni milioni”. Come dire: se si arriva a vendere il decoro pubblico, almeno che lo si venda caro. Ma il punto non è questo. Gli Uffizi noleggiati a ore, appartengono oggi al popolo italiano. Che li mantiene con le proprie sudatissime tasse non perché siano ‘belli’, ma perché sono un potentissimo strumento di educazione alla cittadinanza e di innalzamento spirituale. L’articolo 3 della Costituzione affida alla Repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Il patrimonio storico e artistico della nazione (menzionato – caso unico al mondo – sempre tra i principi fondamentali della Carta, pochi articoli dopo) è precisamente uno degli strumenti che permettono alla Repubblica di rimuovere quegli ostacoli, e di rendere effettiva la libertà e l’eguaglianza dei cittadini. Uscito da una messa in cui aveva sentito predicare gli atti di misericordia corporale, il piccolo Luigi Pirandello tornò a casa seminudo perché aveva rivestito del suo abito un bambino che aveva visto coperto di stracci. Ma, una volta a casa, egli venne aspramente rimproverato: e comprese, una volta per tutte, che nessuno prendeva sul serio il cristianesimo. Allo stesso modo, ogni tentativo di mostrare il valore civile dei musei è annullato dal noleggio degli Uffizi.
Se gli Uffizi diventano lo sfondo della “quaglia farcita ai funghi porcini con fagioli al fiasco”; se gli Uffizi diventano una location dove ostentare e celebrare l’onnipotenza del lusso, la diseguaglianza sociale ed economica e il trionfo del denaro di pochi; se gli Uffizi diventano la prosecuzione delle scarpe e delle borse con altri mezzi; se gli Uffizi vengono risucchiati da questo turbine di volgarità e ignoranza provinciali; se non è più possibile distinguere tra gli Uffizi e il Billionaire, ebbene, la Repubblica italiana prende un potentissimo strumento di educazione e di eguaglianza, che mantiene a caro prezzo con i soldi di tutti, e lo trasforma deliberatamente in un altrettanto potente mezzo di diseducazione e discriminazione.
Come dice il comico americano Bill Hicks, “piantatela di mettere il maledetto segno del dollaro su ogni fottuta cosa di questo pianeta”.
Il Fatto Quotidiano, 26 Giugno 2012