I giovani sono il futuro? A parole, tutti d’accordo. Ma non sempre i fatti seguono le buone intenzioni. E sul tavolo dei leader europei, riuniti nel Consiglio del 28 e 29 giugno, oltre alle proposte per ridurre lo spread, lanciare gli eurobond e fornire gli scudi di salvataggio per i Paesi in crisi, è arrivata anche una lettera che chiede apertamente politiche serie di sostegno alle nuove generazioni.

La firma Peter Matjašič, presidente dello European Youth Forum, piattaforma che riunisce le organizzazioni giovanili a livello continentale. Matjašič scrive “a nome dei 96 milioni di giovani che vivono in Europa”, sottolineando che l’Unione si trova di fronte “a uno snodo cruciale” e che “le decisioni del Consiglio avranno senza dubbio un impatto importante sul destino dei cittadini europei, in particolare i giovani”.

Attualmente, la loro situazione non è affatto rosea, e rischia di aggravare ulteriormente la crisi economica: secondo una recente ricerca di Eurofound (European Foundation for the improvement of living and working conditions), condotta su 21 stati membri dell’Unione, la mancata partecipazione al mercato del lavoro dei cosiddetti Neet – i giovani che non lavorano, non studiano e non sono impegnati in tirocini – costa in totale alla collettività oltre 100 miliardi di euro all’anno, una cifra pari all’1% del prodotto interno lordo aggregato dei Paesi considerati. La stessa cifra che l’Europa ha messo a disposizione per salvare le banche spagnole, fiaccate dalla speculazione e dal crollo del mercato immobiliare.

Per i leader dell’Unione, però, le urgenze sembrano altre: come segnala lo Youth Forum, appena lo 0,1% del budget europeo è destinato al finanziamento dei programmi per la gioventù. Il Forum segnala che, ad esempio, il programma di formazione continua Lifelong Learning può contare su uno stanziamento di 7 miliardi di euro per sette anni: meno di quello che l’Europa ha speso per sovvenzionare il settore vinicolo nel solo anno 2011. Questo nonostante gli investimenti in progetti dedicati, come Youth In Action, presentino un ottimo rapporto costi/benefici, con una spesa pari a meno di 28 centesimi all’anno per cittadino europeo.

La carenza di investimenti contribuisce, insieme alla crisi, alla crescita della disoccupazione giovanile e al conseguente aumento della povertà e dell’esclusione sociale. Anche se non tutti i Paesi presentano le drammatiche percentuali di disoccupazione giovanile di Grecia, Spagna e Italia, il problema dell’assenza di politiche efficaci è comune a tutta l’Europa. I dati Ocse diffusi a maggio sono chiari: nei Paesi dell’euro il 22,1% degli abitanti tra i 15 e i 24 anni non lavora, percentuale che sale al 22,6% nell’Europa a 27. Fanno paura le cifre sulla Grecia, dove i giovani disoccupati sono il 51,2%, e sulla Spagna (51,1%), mentre l’Italia ha raggiunto la poco invidiabile quota del 35,9% di giovani senza lavoro.

Un’intera generazione è tagliata fuori: e i costi sociali rischiano di lievitare ulteriormente, in termini di minori introiti fiscali, maggior ricorso ai servizi di assistenza e tassi più alti di abbandono scolastico. Per questo occorrono scelte precise e lungimiranti da parte dei leader europei.

A loro si rivolge il presidente dello European Youth Forum, sottolineando, in vista del Consiglio europeo e soprattutto della definizione del bilancio per il periodo 2014-2020, che “investire in maniera forte e tangibile sui giovani deve essere una priorità, per la crescita, la stabilità e il benessere dell’intera società europea”.

“Chiediamo agli stati membri di non tagliare o congelare i fondi per i giovani, ma di guardare avanti e pensare a includerli nelle politiche per lo sviluppo”, scrive Matjašič. Altrimenti, i costi di una generazione esclusa potrebbero diventare davvero insostenibili.

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