Dall’abbattimento dell’aereo turco della settimana scorsa, lo scenario in Siria è mutato di 360 gradi. Ieri, per la prima volta, la Guardia Repubblicana si è trovata a doversi difendere da un attacco dell’Esl, proprio nei sobborghi di Damasco dove ha il suo quartier generale. Oggi la sede dell’emittente televisiva pro-regime Ikhbariya, a meno 20 km dalla capitale, ha subito un attacco da un commando che ha causato la morte di tre giornalisti e quattro guardie. A questo attacco, primo nel suo genere, Omran al Zubi, ministro dell’informazione, ha tuonato contro “l’Unione Europea e le organizzazioni arabe e internazionali” ritenendole responsabili del “brutale massacro contro i media e la libertà di espressione in cui giornalisti sono stati giustiziati a sangue freddo e interi uffici sono stati distrutti”.
Bashar al Assad ha dichiarato che “il paese si trova in stato di guerra su tutti i fronti” questo perché Erdogan ha chiuso la frontiera e ha minacciato il regime dicendo che “sono state modificate le regole di ingaggio delle forze armate turche rispetto alla Siria e ogni infrazione delle leggi sul confine avrà una risposta. Qualsiasi soldato che si avvicina al confine turco sarà trattato come una minaccia”. Nonostante queste dichiarazioni di fuoco, Erdogan ha assicurato che non intende attaccare la Siria.
Bisogna considerare il cambiamento della posizione turca come un voler ritornare sulla scena internazionale della crisi siriana. Ricordo che la Turchia, all’inizio della rivoluzione siriana, diede un forte sostegno a Damasco, tant’è che i servizi turchi consegnarono a quelli siriani il colonello Hussein Harmush, primo ufficiale defezionato dall’esercito siriano. Nessuno ha intenzione di attaccare la Siria perché il regime non è solo, continua a essere supportato da Russia, Cina, Iran e da alcuni paesi del Sud America. La diplomazia internazionale è d’accordo, in modo unanime, che una nuova Libia non è possibile, visto che Assad non è nella posizione in cui si trovò Gheddafi, cioè da solo.
Probabilmente, la crisi siriana troverà una soluzione interna. In questa ultima settimana c’è stato un aumento dei soldati, e degli ufficiali, che hanno lasciato l’esercito. Sempre la settimana scorsa un pilota dell’aereonautica ha lasciato il paese dirottando il suo Mig 21 in Giordania. Sul piano interno la visita a sorpresa e simbolica di Burhan Ghaliun, ex presidente del CNS, a Idlib, rappresenta la concreta perdita di controllo di gran parte del territorio da parte dell’esercito siriano,“che è sempre più stanco e fiaccato moralmente” a detta di Ahmad Berro, generale appena passato all’Esl. Sembra che per Assad e sua moglie Asma, che si è presentata a un allenamento con una maglietta con la scritta “il mio bel paese”, stia per cominciare un conto alla rovescia. Questo countdown rappresenta il tempo che manca a Damasco, ai suoi quartieri interni, per sfuggire al controllo dell’esercito. Nonostante tutto, Assad può ancora scappare, accettando l’esilio dorato che molti paesi gli hanno proposto. Accetterà?