Depositate le motivazioni con cui il tribunale ha deciso di non scarcerare l'ex direttore dell'Avanti, coinvolto nell'inchiesta della procura di Napoli su contributi all’editoria e corruzione internazionale. I giudici: "Non ha esitato a stimolare la distruzione di documenti pericolosi"
Valter Lavitola deve rimanere in carcere. Per l’ex direttore de L’avanti, detenuto nell’ambito dell’inchiesta su contributi all’editoria e corruzione internazionale, sussiste infatti il rischio di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato. Lo afferma il Tribunale del Riesame di Napoli nelle motivazioni, depositate oggi, dell’ordinanza con cui nelle scorse settimane è stata confermata la custodia in carcere.
Secondo il Tribunale (presidente Elvira Russo, giudici Pia Dani, estensore dell’ordinanza, e Mario Morra) sussiste il pericolo di inquinamento delle prove in considerazione “della peculiare scaltrezza e abilità” di Lavitola “che operava con disinvoltura e competenza tecnica avvalendosi per l’esecuzione del proprio ampio disegno criminoso di fedeli collaboratori”. L’ex direttore dell’Avanti non avrebbe esitato “a stimolare la distruzione di documenti pericolosi e la raccolta di informazioni sulle proprie vicende processuali anche mentre si trovava latitante all’estero”.
Per quanto riguarda il pericolo di reiterazione dei reati, il Tribunale sottolinea, tra l’altro, “i gravissimi casi di corruzione internazionale caratterizzati da una pre ordinazione attenta e concentrata con i vertici pubblici stranieri” ritenuti “completamente asserviti” a Lavitola e “agli interessi economici di cui era il portatore”. I giudici definiscono “inquietante la capacità di individuare enormi quantità di denaro e di gestirne senza difficoltà il trasferimento all’estero”.
L’inchiesta – condotta dai pm di Napoli Francesco Curcio, Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock – si articola in due filoni. Nel primo, in cui è coinvolto anche il senatore del Pdl Sergio De Gregorio, Lavitola risponde di una serie di irregolarità sia per ottenere i fondi pubblici per l’editoria (“dirottati verso destinazioni allo stato ignote”) sia per presunte attività di riciclaggio e per la realizzazione di provviste destinate alla corruzione. La vicenda di corruzione internazionale si riferisce a tangenti che sarebbero state versate a esponenti del governo di Panama, tra cui il presidente della Repubblica centramericana Riccardo Martinelli, in relazione alla costruzione di carceri modulari.
Il Tribunale mette in rilievo in particolare i “solidi e autentici rapporti intrattenuti con il presidente di Panama di cui Lavitola era confidente e prezioso collaboratore tanto da essere accolto nello Stato estero come privilegiato interlocutore apprezzato anche dagli altri uomini del governo panamense”. Tale ospitalità “veniva ricambiata al presidente e ai suoi collaboratori in Italia dallo stesso Lavitola che si accollava le cospicue spese del soggiorno utilizzando altresì il proprio legame, altrettanto solido, con il presidente del Consiglio (Silvio Berlusconi, ndr)”. “In tal modo Lavitola – scrive il Tribunale – si accreditava in maniera ancora più forte, presso lo stato panamense riuscendo a porre le basi per la propria attività di corruttela”.
“La visita a Villa Certosa, organizzata per Martinelli e i suoi uomini ed effettuata pur in assenza di Berlusconi e con l’intenzione di dare all’evento massimo risalto anche a Panama, dimostra in maniera inequivocabile l’interesse di Lavitola per lo stato estero e il metodo prescelto per ottenere la fiducia di Martinelli, quale il mostrarsi in ottimi rapporti con il presidente del Consiglio italiano e così garantendo nel contempo prestigio all’imprenditoria italiana interessata alle operazioni di corruttela in Panama”.