Nell’assordante silenzio dei media italiani si è conclusa venerdì la Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, meglio nota come Rio+20. Le aspettative della vigilia erano alte, la sfida ambiziosa: cercare una strada il più possibile condivisa per liberare due miliardi di persone dallo stato di povertà, preservando gli equilibri ecologici del pianeta e rafforzando i legami sociali che rendono felici gli uomini. Una mission impossible, se pensiamo che attualmente consumiamo circa il doppio di ciò che dovremmo permetterci. Una crescita green ed efficiente è la naturale soluzione di lungo periodo.
Il summit è stato un fallimento (citando il Direttore Generale del Wwf Jim Leape). Il testo approvato è l’emblema della crisi del multilateralismo: vent’anni dopo il testo partoritoriconosce molte sfide, incoraggia molte azioni, ma si impegna a prendere ben poche decisioni. Il documento in sé sottolinea l’esistenza di gravi problemi globali, ma per tutto il negoziato si è evidenziata una mancanza di leadership globale, necessaria a introdurre quel cambio di passo per garantire un sviluppo realmente sostenibile, fatto di azioni e non di parole.
Nel fallimento, che comprende anche una posizione troppo vaga sull’interruzione ai sussidi ai combustibili fossili (paragrafo 225), occorre comunque evidenziare e sottolineare alcuni passi in avanti compiuti grazie al testo di 49 pagine approvato .
- La definizione di un processo per la definizione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibili (Sustainable Development Goals – SDG) che andranno a sostituire gli Obiettivi del Millennio: obiettivi universali e condivisi da paesi sviluppati e non, che riceveranno dei programmi di finanziamento specifici;
- La definizione di una membership universale di Unep (l’agenzia Onu per l’ambiente): un risultato comunque al di sotto delle aspettative della UE che sperava di ridefinirla in una specie di agenzia specializzata
- L’impegno volontario da parte di circa 700 tra governi, investitori privati, società civile e altri gruppi per azioni volte ad implementare gli obiettivi della conferenza per un ammontare di circa 513 miliardi di dollari
Un successo vero a Rio c’è stato. La completa realizzazione della piena consapevolezza dell’urgenza in cui viviamo da parte della società civile: NGO, associazioni, leader locali non hanno mancato di far sentire i propri bisogni e le proprie necessità, anche a voce alta, per tutta la durata del Summit.
Hanno mostrato attraverso le loro azioni che la green economy è possibile e attuabile: quello che chiedono ora è la definizione di una cornice con delle regole certe in cui muoversi, in modo da avere tutti pari diritti ma anche pari opportunità nelle scelte decisionali e nella concorrenza tra sistemi di sviluppo.
Gli obiettivi di Sviluppo Sostenibile rappresentano una sfida: è necessario fin da ora tenere alta l’attenzione per evitare di arrivare al 2015 con un documento di intenzioni, ma finalmente produrre un documento di azioni. Certo che il silenzio che i media italiani hanno riservato a Rio+20 non è certo di buon auspicio: tocca a noi NGO, cittadini e operatori locali intraprendere scelte, decisioni ed iniziative che possano iniziare davvero a contare.
Per approfondimenti su e da Rio, un articolo di Alexios Mantzarlis (già nostro ospite all’Aperitivo a Rio+20 del mese scorso) e il diario di Emanuele Bompan .