Parla Salvatore Baiardo, gelataio e consigliere comunale del Psdi nella cittadina di Omegna (Verbania). Nel 1996, dopo la cattura dei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, Baiardo ha parlato segretamente con gli investigatori della Dia rifiutandosi di mettere a verbale le sue rivelazioni: “Ero il loro riciclatore. Quell’estate erano in vacanza a 200 metri dal Cavaliere”
“Sono stato un riciclatore dei Graviano, li ho portati a spasso in tutto il nord Italia dal 1989 fino alla mattina del loro arresto. So tutto di loro e dei loro affari al nord e in Sardegna, li ho ospitati, ho le foto e i contratti delle case dove hanno abitato, ma nessun magistrato mi vuole sentire”. Si presenta così Salvatore Baiardo, 55 anni, già gelataio e consigliere comunale del Psdi nella cittadina di Omegna, sulle sponde del lago di Orta in provincia di Verbania. Nel 1996, dopo la cattura dei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, Baiardo ha parlato segretamente con gli investigatori della Direzione investigativa antimafia rifiutandosi di mettere a verbale le sue rivelazioni.
L’INFORMATIVA DEL 1996 – Secondo quello che risulta a Il Fatto Quotidiano è infatti lui il protagonista di un’informativa della Dia del 4 novembre 1996. Una nota esplosiva nella quale due investigatori di alto livello raccontano di avere ricevuto da “persona indagata e per la quale pende richiesta di archiviazione a Firenze” una serie di rivelazioni sotto garanzia di anonimato. L’informatore della Dia riferiva “di avere conosciuto i Graviano nel 1989”; “di avere assistito in casa sua tra il ‘91 e il ’92 a una-due conversazioni telefoniche intercorse tra Filippo Graviano e Marcello Dell’Utri dalle quali si evinceva che i due avevano in comune consistenti interessi economici, in particolare nel settore immobiliare, a Milano e in Sardegna”; che il prestanome per i suddetti investimenti era “un imprenditore a nome Rapisarda”; “che i fratelli Graviano erano interessati al finanziamento tramite Marcello Dell’Utri del nascente movimento politico Forza Italia, che avrebbe dovuto garantire i loro interessi in quanto la Dc attraversava un periodo di forte difficoltà”. Sempre lo stesso informatore, secondo la Dia, aveva poi riferito “di avere accompagnato nella primavera del ‘92, o 93 i fratelli Graviano nel ristorante “L’Assassino” di Milano dove avrebbero dovuto incontrare Marcello Dell’Utri, ma di non avere avuto mai la possibilità di assistere personalmente agli incontri”;
Oggi con Il Fatto Quotidiano, che lo ha prima sentito più volte al telefono e poi l’ha incontrato nel suo paese di residenza, Baiardo non conferma il suo ruolo di ex informatore. E quando gli si cita il rapporto della Dia replica solo: “Io non sono mai stato all’Assassino”. Poi dice: “Graviano lo ha anche specificato. Ha detto scrivete che Baiardo non è un confidente, ma un favoreggiatore”. Lui, del resto, vuole parlare di altro. Dice di essere in grado di scagionare Giuseppe Graviano dall’accusa di aver ucciso Borsellino e di poter dimostrare che gli ultimi due pentiti che accusano il suo amico boss stanno mentendo o quanto meno dicono molto meno di quel che sanno. Una cosa, comunque, Baiardo la conferma: “A metà degli anni 90 gli investigatori mi hanno fatto ponti d’oro perché collaborassi. Ancora due ore prima del mio arresto si sono seduti al tavolo e mi hanno offerto un miliardo e mezzo, una villa, una nuova vita per me e la mia famiglia. Poi ci hanno provato anche i magistrati in carcere. Ma ora che invece voglio parlare io di altre cose, i giudici non mi convocano”. E così Baiardo – dopo 15 anni di silenzi – quando i due nuovi pentiti della cosca di Brancaccio, Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina, hanno cominciato a raccontare i segreti della strage di via D’Amelio, ha provato a contattare i giornali. Con tempismo perfetto, quando Giuseppe Graviano e i suoi legali lo hanno cominciato a tirare in ballo nei processi per confutare le accuse dei collaboratori di giustizia, Baiardo ha inviato una mail a Il Fatto.
IL TEMPISMO DELLE RIVELAZIONI – E adesso, prima al telefono e poi seduto a un tavolo, racconta tra qualche reticenza e molti sorrisi, i suoi anni formidabili. Cominciati nel 1989 quando a lui che viveva al nord da sempre, Cesare Lupo (suo cugino acquisito e cognato di Tranchina), porta a Omegna i Graviano. Lupo, a sua volta cognato dei Graviano, nel 2001 è stato arrestato perché considerato nuovo boss di Brancaccio. Tranchina, invece, si è buttato pentito. E Baiardo ce l’ha con lui: “Dice un sacco di minchiate. Ha raccontato di avermi consegnato solo una ventina di milioni di lire per farmi acquistare una gelateria, ma si dimentica di altri 18 miliardi che nel corso degli anni mi ha consegnato in buste e valigie. Dice che Giuseppe ha fatto saltare in aria Borsellino (in realtà Tranchina sostiene di avere comprato per il boss il telecomando e di averlo accompagnato a fare i sopralluoghi in via D’Amelio nei giorni precedenti alla strage, ndr), quando il 19 luglio del ‘92 Giuseppe era da me a Omegna. E c’è pure la prova. Quel giorno la polizia ci ha fermato per un controllo. Io avevo i miei documenti. Quelli di Giuseppe portavano il nome di un certo Francesco Mazzola, solo che ora gli investigatori sostengono che quel verbale non si trova. Filippo invece era a Padova. Insomma, dico io, quei due possono averne anche ammazzati cento, ma questa della strage Borsellino mi sembra una cioccolatata”.
IL REBUS DI PUNTA LADA – Baiardo parla con un forte accento lombardo, ha i capelli lunghi e gli occhi nascosti dagli occhiali scuri. Spiega che quando i Graviano cominciarono a frequentare Omegna, lui li presentò a tutti i suoi amici: “C’erano industriali, professionisti, gente di ogni tipo. Rimanevano con me per settimane poi a un certo punto pensarono di trasferirsi lì. Era il 1991, io cercai anche una villa, loro si davano da fare per trovare delle possibilità per investire i loro soldi”. A Capodanno festeggiano tutti assieme all’Hotel San Rocco di Orta San Giulio.“Ci sono anche le foto”, dice Baiardo, “gli investigatori le hanno sequestrate”. Poi parla delle vacanze estive nell’Agrigentino, assieme a una coppia di amici e molti mafiosi, ma nega che gli sia stato presentato anche Matteo Messina Denaro, l’attuale capo di Cosa Nostra, “C’era della gente, non so chi fossero”, dice. Quindi la vacanza delle vacanze: la Sardegna. Un rebus che ha fatto impazzire gli investigatori. I Graviano, ospiti di una grande villa a Punta Lada, sono lì il 17 e 18 agosto del ‘93, un mese dopo gli ultimi attentati da loro organizzati (al Pac di Milano e alle Basiliche di Roma). Si crogiolano al sole con le fidanzate, mentre Silvio Berlusconi sta mettendo a punto nella sua villa gli ultimi preparativi in vista della nascita di Forza Italia. In Sardegna c’è anche, come risulta dai suoi tabulati telefonici, Baiardo. Ma cosa facevano in Sardegna i Graviano? Questo è quello che ci ha esattamente detto in uno dei colloqui con lui che qui riportiamo fedelmente.
“Sono stati lì due estati. Nel 1992 ho affittato io la villa per loro e invece di sentire me i magistrati sentono le cazzate di Tranchina e Spatuzza. Andate a vedere la villa pagata da me, affittata da me. Era in linea d’aria a 200 metri dall’ex presidente del Consiglio (Silvio Berlusconi, ndr). Via mare ci si arriva perché era proprio sul mare. Poi da quello a dire che si conoscessero e si frequentassero c’è ne passa. Io l’ho affittata nel 1992. Poi presumo che nel 1993 abbiano ripreso la stessa villa, ma il contratto non l’ho fatto io”.
E che facevano i Graviano in Sardegna?
Vacanze, ma poi avevano anche persone con cui si incontravano e facevano gli affari loro.
Ma se facciamo i nomi di…
(Baiardo ci previene) Flavio Carboni (poi indagato per gli affari con Marcello Dell’Utri anche in Sardegna nel 2009, ndr), Rapisarda (che crea tra il 1992 e la fine del 1993 proprio con Marcello Dell’Utri una serie di società, ndr), gira e rigira – chiosa – son sempre i soliti. (Poi nell’ultimo colloquio Baiardo farà marcia indietro sui due nomi, ndr).
Ma Tranchina dice un’altra cosa…
Tranchina parla di un appartamento sulla piazzetta con i negozi e i magistrati si accontentano di questa versione. Ma quando mai! Nel 1992 la villa in cui alloggiavano i Graviano c’era costata 200 milioni, 130 nel mese di agosto e 70 milioni per settembre. Negli appartamentini stavamo noi e nel villone c’erano loro.
Ma lei ha conservato il contratto di affitto?
Guardi io ho tutto. Ci sono i filmini, le fotografie, le agende di quegli anni che parlano. Poi leggo che Spatuzza sostiene che Giuseppe Graviano ha l’asso nella manica, allora diamo retta a Spatuzza e aspettiamo che Graviano si giochi quest’asso.
Secondo lei perché Graviano ha chiesto che lei sia sentito per approfondire queste cose? Forse vuole mandare un segnale a qualcuno? Vuole far sapere che c’è una persona che sa tutto quello che è successo nell’estate del 1993?
È una sua supposizione. Ma ci può anche stare. Io però sarei uno stupido ad andare in galera per calunnia.
Lei però ha fatto due confronti nel 2009 con i fratelli Graviano in carcere e ha detto di non conoscerli. Ora vuole essere sentito?
L’avvocato dei Graviano lo ha chiesto al processo per l’omicidio Di Matteo, ma loro hanno preferito acquisire proprio i verbali di quei confronti in cui non dicevo nulla. L’avvocato di Giuseppe mi ha detto: ‘Siccome è la quarta volta che lo chiedo, la convocherò in appello’.
Ma lei cosa vuole dire ai giudici?
Che Graviano il giorno della strage di via D’Amelio non era lì. Io non voglio che le mie figlie credano a queste cose. E poi non se ne può più delle balle che dicono questi due. Spatuzza dice che non mi conosce e che non è mai venuto al nord. Solo una volta a Bologna. Minchiate. Si è dimenticato che mi ha incontrato tre volte dopo l’arresto dei Graviano quando ha preso in mano lui il mandamento di Brancaccio e veniva lui qui al nord a curare i loro interessi. La terza volta, nel 1996, lo fece con arroganza. Venne a pretendere la bellezza di 800 milioni di lire dei Graviano perché, diceva, erano della cosca. Anche Tranchina dice che mi ha portato 20 milioni per la gelateria, ma è un’altra minchiata. Tranchina mi ha portato 18 miliardi di vecchie lire. Allora era il loro uomo di fiducia poi ha perso colpi, era il cognato di mio cugino, Lupo, che era il braccio destro del Graviano, altro che 20 milioni per la gelateria.
Baiardo lei descrive uno scenario in cui nelle testimonianze dei pentiti sono spariti i soldi…
Guardi io vivevo con i Graviano in quel periodo. Quando stavamo a Venezia alloggiavamo in un palazzo di tre piani sul Canale. Lo abbiamo affittato dagli imprenditori Bisazza, quelli delle piastrelle. Non so se mi spiego. Tre piani uno più bello dell’altro. Anche lì abbiamo speso una bella cifra.
Resta una domanda, la più importante: Baiardo, che ci facevano al nord i Graviano? Davvero Dell’Utri incontrava Filippo Graviano per parlare di affari?
Di queste cose non voglio parlare adesso. C’è già la Dia di Firenze che mi martella, l’ultima volta son venuti tre mesi fa. Non voglio parlare di questo.
di Peter Gomez e Marco Lillo
da Il Fatto Quotidiano del 28 giugno 2012