Oltre il 90% dell’opinione pubblica americana è favorevole a una etichettatura specifica. Non sono stati fatti molti studi sui rischi dei prodotti per la salute. Ma il 6 novembre in California ci sarà il referendum che potrebbe fare da apripista a una modifica
Il Senato ha detto no. Non ci sarà alcuna etichettatura specifica per i cibi e le bevande GM (geneticamente modificato). Ciò è avvenuto qualche giorno fa, mentre veniva approvato il nuovo (e discusso) Farm Bill, ossia il programma quinquennale che detta la politica agroalimentare in America: con effetti sulla politica ambientale, sulla sicurezza alimentare e sul commercio internazionale. In pratica è stato respinto l’emendamento Sanders, ossia il primo della storia che ha portato in votazione al Senato degli Stati Uniti una possibile etichettatura dei prodotti alimentari geneticamente modificati: 73 contrari e 26 favorevoli. “Abbiamo avuto l’opposizione di ogni possibile multinazionale del paese, su tutte ovviamente la Monsanto e la Sygenta” ha commentato il senatore Sanders “ dunque si è ritenuto che gli americani non abbiano veramente il diritto di sapere cosa mangiano”.
Eppure tutti i sondaggi degli ultimi hanno mostrato che oltre il 90% dell’opinione pubblica americana è favorevole a una etichettatura di alimenti geneticamente modificati. Lo aveva già capito il presidente Obama che nel 2007 pose come uno dei punti della sua campagna elettorale proprio l’etichettatura degli OGM (organismo geneticamente modificato), che però non è stata mai portata a compimento. Negli anni a seguire si sono alternati diversi movimenti per sensibilizzare la nazione, fra cui “Occupy” e specie “Just Label it!” che ha spinto oltre un milione di persone a firmare una petizione pro etichettatura, poi mandata alla FDA, l’ente governativo che si occupa di alimenti e medicinali. Ma la posizione dell’ente è rimasta la medesima sin dal 1992: “non c’è alcuna evidenza scientifica che i prodotti geneticamente modificati differiscano dagli altri, e specie dal punto di vista della sicurezza alimentare”. Pertanto non necessiterebbero di informazioni aggiuntive (“material information”).
La posizione della FDA (Food and drug amministration organismo del Dipartimento della Salute) è aspramente criticata, e ci sono anche membri dell’ente stesso che si sono espressi contro, quanto intere associazione quale l’American Academy of Environmental Medicine. Del resto non sono stati fatti molti studi che associano i prodotti OGM a rischi per la salute. E quelli che sono stati fatti, sono anch’essi stati aspramente criticati. Fino ad oggi le aziende di biotecnologia sono state semplicemente esortate a ad avere un consulto con la FDA prima di mettere in commercio un nuovo prodotto GM. Una settimana fa, però, la più importante associazione medica degli Stati Uniti (AMA) ha richiesto alla FDA di adottare un controllo sistematico su tutti i prodotti GM prima che siano messi in commercio. Inoltre si è anche espressamente consigliato all’ente di restare all’erta su tutti i possibili studi che esaminino le relazioni fra salute e uso di prodotti alimentari GM.
Marion Nestle,che insegna al dipartimento di Nutrizione-Studi Alimentari-Salute Pubblica della New York University, ha fatto notare come l’etichettatura degli alimenti geneticamente modificati va promossa anche per ragioni diverse dalle evidenze scientifiche: “l’acquisto di prodotti non GM può avvenire per ragioni di precauzione, etica, cultura… o semplicemente scegliendo di non favorire il dominio della multinazionali nell’agrolimentare”. Anche se l’emendamento a favore dell’etichettatura è stato respinto in Senato, la battaglia del popolo americano continua: il 6 di novembre in California si voterà al referendum sull’etichettatura dei prodotti alimentari geneticamente modificati. “La California potrebbe fare da apripista” dice Simran Sethi, professore universitario alla University of Kansas e ambientalista “visto che la stragrande maggioranza degli alimenti trasformati deriva da OGM. Se non c’è alcun rischio per la salute, come affermano le multinazionali, non dovrebbero avere problemi a mettere un’apposita etichetta. E anche se credono che i consumatori siano spaventati perché disinformati, dovrebbe essere loro compito informarli”.