Affollamento di tapiri in tribunale. Sembrava scontato l’epilogo della telenovela tra cacciatori di ciarlatani che va in onda nelle aule di giustizia di mezza Italia a suon di querele e richieste di risarcimento esorbitanti. Da una parte Giovanni Panunzio, insegnante di religione e fondatore dell’associazione Osservatorio Antiplagio che dal 1994 dichiara guerra a sedicenti maghi, astrologi, cartomanti e satanisti. Dall’altra Antonio Ricci e un plotone di avvocati del Biscione mobilitato in difesa del buon nome di Striscia la Notizia, prodotto di punta delle reti di Silvio Berlusconi non meno impegnato sullo stesso fronte. Panunzio e Ricci da dieci anni si fronteggiano in tribunale per stabilire il curioso primato su chi combatte di più i parolai nostrani dell’occultismo. Golia che fa poltiglie di Davide. Stava andando proprio così, con l’insegnante rimasto senza un soldo per far fronte alle spese delle cause piovute da Segrate, ben dieci in dieci anni, e con il quinto dello stipendio (260 euro) pignorato per sette anni su richiesta dei legali del Biscione in attesa della sentenza definitiva in Cassazione. Pochi giorni fa, però, la corte d’Appello di Milano ha segnato un punto a favore del professore. I giudici in primo grado lo avevano condannato per diffamazione aggravata a pagare 500 euro di multa e 5mila euro di risarcimento. Il 15 giugno i giudici della Prima sezione penale hanno ribaltato quella sentenza e lo hanno assolto con formula piena, provocando lo sgomento della controparte che ha subito annunciato ricorso.
La vicenda risale al lontano 16 febbraio 2006. A Milano è in corso il processo a Vanna Marchi. Panunzio è chiamato a deporre perché fin dal 1995 ha presentato 21 esposti in altrettante procure contro la teleimbonitrice più famosa d’Italia che sarà condannata dieci anni dopo, soprattutto grazie al clamore mediatico sollevato dai servizi del programma di Ricci. Durante il suo intervento il professore rivendica la primogenitura sul caso Marchi e si scaglia contro Ricci e la sua squadra accusandoli di usare due pesi e due misure, di perseguitare cioè tutti i ciarlatani d’Italia tranne quelli che fanno inserzioni a pagamento su Mediavideo, pubblicizzati in otre 200 pagine del teletex di Mediaset. “Durante il processo – spiega Panunzio – Ricci ha dichiarato di non essere mai stato a conoscenza di quelle inserzioni commerciali e questo ha indotto il pubblico ministero a darmi ragione”. E ora la guerra riparte, ma ad attaccare è l’ex insegnante che tramite l’avvocato Vittorio Amedeo Marinelli annuncia una rivalsa legale per abuso del diritto, lite temeraria, stalking giudiziario e calunnia.
Ricci, contattato da ilfattoquotidiano.it, preferisce non commentare, convinto che il professore sia animato solo dal desiderio di ottenere visibilità. Ma precisa che Striscia non ha fatto sconti a nessuno, che ha messo nel mirino anche la holding più forte di sensitivi e guaritori d’Italia (“Grandi veggenti italiani”) anche quando era pubblicizzata su Pagine Utili, la directory telefonica che fino al 2008 faceva parte di Fininvest. Il programma poi – spiegano i legali di Striscia – non va a caccia di ciarlatani, quando se ne occupa lo fa seguendo circostanziate segnalazioni dei telespettatori. E in ogni caso il ricavato degli asseriti danni, in caso di condanna, sarà devoluto in beneficenza.
Ma per Striscia non è l’unica spina giudiziaria conficcata nel fianco dall’ex insegnante. In tribunale infatti continua l’Sos Gabibbo. Panunzio segnalò per primo la straordinaria somiglianza tra il pupazzo di Ricci e la mascotte Usa “Big Red”, attirando così la curiosità degli americani che da tempo ne rivendicano paternità e diritti (intorno al suo personaggio è nato un vero e proprio mercato che spazia dalla linea di oggetti per la scuola, ai gioielli “Mondo Gabibbo” sino ad arrivare ai costumi di carnevale che lo raffigurano). Nel 2003 la Western Kentucky University ha fatto causa a Mediaset-RTI e a Giochi Preziosi per 250 milioni di dollari, sostenendo che il pupazzo fosse copiato dalla mascotte dell’università. In due gradi di giudizio Ricci l’aveva spuntata, ma il 6 aprile 2012 il giudice Paola Maria Gandolfi di Milano ha dato ragione, in un’altra causa, all’ex studente americano che avrebbe creato il vero Gabibbo nel 1979, ben 11 anni prima che la mascotte calcasse gli studi di Cologno Monzese con la sua inconfondibile inflessione genovese. Mediaset ha annunciato appello d’urgenza contro la sentenza chiedendo (e ottenendo) la “sospensione immediata dei suoi effetti”. Il giudice, contattato nelle scorse settimane, non ha voluto fornire notizie sullo sviluppo del procedimento in corso né confermare il valore del contenzioso.
C’è un ultimo risvolto curioso nella strana guerra tra cacciatori di maghi. Per avere ragione in tribunale Rti e Mediaset hanno schierato i migliori legali sulla piazza (che poi sono quelli di Silvio Berlusconi). Spiccano, su tutti, Leandro Cantamessa e Stefano Longhini. Quando Cantamessa chiede il quinto dello stipendio al Panunzio, ad esempio, mette in calce i nomi di ben dieci colleghi associati allo studio di via Montenapoleone 3. Da 27 anni lui è il legale del Milan e si occupa di questioni milionarie legate ai contratti dei calciatori rossoneri. Si materializza però personalmente anche nell’aula del Tribunale di Arezzo pur di avere ragione di Panunzio in un procedimento civile da 50mila euro. Cantamessa nel suo ambiente è soprannomianto “l’avvocato del Diavolo”, non solo per il Milan ma anche per via della sua personalissima passione per l’astrologia: a 12 anni collezionava volumi rari e oggi ne ha oltre 5mila; nel 2007 ha scritto perfino un’opera omnia su 500 anni di culto astrologico (dal 1472 al 1900). Insomma, un esperto e bibliofilo della materia. Così il cacciatore pubblico di astrologi e il loro massimo cultore privato si sono trovati insieme in un’aula di tribunale. Uno contro l’altro. Se non è magia questa.