Sono le 5 di mattina e mi avvio, come un pellegrino del XXI secolo o un turista fai-da-te (a seconda delle derivazioni culturali) a prendere il traghetto che dall’isola di La Palma mi riporterà a Tenerife. L’arcipelago delle Canarie è una comunità autonoma della Spagna ma si trova in mezzo all’Atlantico sul 28° parallelo, a poco meno di 100 km dalle propaggini occidentali del Sahara. La comunicazione via mare tra le isole è abbastanza complessa e bisogna adattarsi ai bizzarri orari delle due compagnie di navigazione. Per questo ho preparato il mio zaino ieri sera e ora, appoggiandomi a un bastone recuperato nella foresta di Los Tiles, entro nella scia di altri viaggiatori accartocciati e silenti. Mi lascio alle spalle un’isola dal fascino irresistibile, fatta di coste scoscese, di foreste e panorami esaltanti, dove la presenza di antichi vulcani trasmette energia vera e tangibile. Al suo centro domina la Caldera del Taburiente, un immenso anfiteatro roccioso ricoperto di vegetazione che emana profumi unici, un misto di muschio ed erbe officinali dal carattere inconfondibile.
Lasciando l’Italia mi sono sentito dire frasi tipo: “alle Canarie ci vanno solo i pensionati tedeschi” oppure “troverai i fricchettoni seduti a gambe incrociate a guardare il tramonto”. Battute che in qualche maniera esprimono un immaginario superficiale, ma reale, che incasella un luogo comune molto prossimo riferito a un paese lontano e sconosciuto. Perché delle isolette stupende, che furono approdo delle caravelle di Colombo nell’agosto del 1492, prima della famosa “scoperta” dell’America, sono bollate come paese per anziani e storditi?
Stagione di golf, soluzioni di lusso e prestigio, infinite spiagge sabbiose, charter invernali, esclusive residenze benessere-spa, parchi tematici per le famiglie, crociere: questa è la spiegazione. Si tratta dei tag associati alle isole, nient’altro che termini buoni per qualsiasi luogo che annoveri una striscia fotogenica di sabbia con palme e mare turchese.
Quando due ore più tardi attracco al porto di Los Cristianos, a Tenerife, capisco quanto la macchina del vacanzificio sia potente e ben oliata: la playa di Las Americas corrisponde esattamente a quei sogni (incubi?) di vacanza, a quell’immagine delle Canarie. Ma le mie sono solo opinioni discutibili, quello che patisco è l’arroganza della comunicazione a senso unico, come se non esistesse nient’altro all’infuori di quello. Poi mi trovo a camminare per le stradine di Puerto de la Cruz, città storica e balneare situata nella parte nord occidentale dell’isola. In questo inizio estate, tutti i giorni verso le 19, un artista dal nome Konstantinos Spyriadis si dipinge d’oro, barba inclusa, sale su un piedestallo sistemato in una viuzza del centro e sorregge per ore, immobile, un enorme globo, mettendo in scena la mitica punizione che Zeus inflisse ad Atlante: sostenere da solo il peso dell’intero Universo.
È una performance che ripete da anni girando il mondo.
Lo guardo nel suo urlo silenzioso e incompreso e penso che rappresenti il perfetto anello di congiunzione tra i vulcani incazzati che ribollono in profondità, le interminabili file di ombrelloni sulle spiagge full optional e la scoperta dell’America.