E' la risposta del manager durante la conferenza stampa per l'apertura del nuovo impianto della casa torinese a Changsha. Poi ammette che i salari sono un quinto di quelli italiani (250 euro al mese, sostiene invece una fonte interna alla fabbrica). E al cronista del Fatto chiede: "Ma a voi chi vi paga per venire fin qui a fare queste domande?"
“Ma a voi de Il Fatto Quotidiano chi vi paga per viaggiare fino in Cina a fare queste domande?”. Decide di andare dritto al punto Sergio Marchionne al termine della conferenza stampa di ieri, in occasione della presentazione del primo impianto Fiat a Changsha, Cina centrale. Nell’amena cittadina cinese (per modo di dire, visto che si tratta di una città fabbrica di circa 7 milioni di abitanti), in una delle città di seconda fascia che il governo cinese sta cercando di aiutare con investimenti e sostegni a imprese straniere, la Fiat ha presentato il suo nuovo modello: la Viaggio (Fei Xiang in cinese, ovvero volare, con un tono un po’ epico e letterario).
Poco lirico – invece – è sembrato Marchionne, a dire il vero, forse stanco e annoiato da una presentazione della nuova vettura durante la quale hanno parlato vari segretari, responsabili e funzionari del Partito (comunista) e dopo che nella sua introduzione ha dovuto salutare anche “i rispettabili leader”. Lui, che leader deve sentirsi di sicuro.
La domanda cui ha fatto riferimento l’amministratore delegato della Fiat-Chrysler era molto semplice: dopo averci mostrato l’impianto, aver annunciato che verrà prodotta un’auto che sarà venduta a circa 130 mila yuan (16mila euro), a Marchionne è stato chiesto quanto vengono pagati gli operai dello stabilimento. La risposta è stata “non lo so”. Strano o quanto meno bizzarro lo scarso interesse di Marchionne nei confronti dei salari dei “suoi” lavoratori. Incalzato, ha infine detto che un operaio cinese prende cinque volte meno di un operaio italiano. Da altre fonti, interne all’azienda, si è infine scoperto che un operaio cinese impiegato dalla Fiat guadagna circa 2mila yuan, al cambio attuale circa 250 euro al mese.
“Sono domande tipiche di giornalisti italiani”, ha replicato in conferenza stampa l’ad Fiat, come se il tema del lavoro non fosse un ambito spinoso anche in Cina (basti pensare agli scioperi e alle proteste nel 2011 e nel 2012 in alcune zone del paese). Nell’impianto al momento lavorano 1.840 persone, di cui 300 italiane: secondo lo staff della Fiat il personale dovrebbe arrivare a breve a 3.300 unità.
Marchionne ha poi sorvolato anche su un altro punto, ovvero l’impegno concreto del governo centrale, più volte ringraziato nel corso dello speech dell’amministratore delegato Fiat, nel sostenere l’investimento cinese della casa automobilistica. Senza tenere presente che, contrariamente a quanto annunciato in precedenza, lo stesso Marchionne ha confermato che la produzione cinese non sarà limitata al mercato locale. L’impianto di Changsha produrrà una macchina, la Viaggio, destinata alla middle class cinese, di cui si proveranno a vendere nel 2013 100mila esemplari. Per la Fiat si tratta di un investimento tardivo – su questo Marchionne ha fatto ricadere su di sé la responsabilità – in un mercato in cui i tedeschi stracciano l’Italia: nel 2011 la Fiat ha venduto un migliaio di auto, la Volskwagen oltre due milioni. Conseguenze di una presenza in Cina fin da tempi immemori.
Naturalmente durante la conferenza stampa non sono mancati i riferimenti alle questioni italiane – in particolare alla vicenda di Pomigliano e i suoi acerrimi nemici della Fiom – che tanto hanno fatto discutere. Marchionne ha infatti definito “folcloristiche” le norme italiane: “Il nostro paese – ha detto – ha un livello di complessità nell’ambito delle questioni industriali che non esiste in altre giurisdizioni. Le implicazioni di questa decisione sulla situazione del business sono abbastanza drastiche, perché tutto diventa tipicamente italiano e quindi molto difficile da gestire. Allo stesso tempo, nei miei viaggi in Cina, negli Usa o altrove non vedo nessuno veramente interessato a questa decisione, non c’è nessuno che fa la fila per venire a investire in Italia. Non credo che cambierà nulla, si renderà solo tutto più complesso”.
di Simone Pieranni