Quali sono le doti che si richiedono ai governanti, anche a prescindere, se vogliamo, dal loro orientamento politico? Certamente in primo luogo la fedeltà all’ordinamento giuridico e alle sue norme fondamentali, nel nostro caso, ovviamente, la Costituzione repubblicana, sulla quale sono stati chiamati a giurare non già per l’osservanza di un rituale bizzarro e desueto ma perché devono improntare tutto il loro agire al rispetto e all’attuazione dei principi giuridici in essa contenuti. Poi l’onestà, la trasparenza, la capacità di scindere i propri interessi personali da quelli del Paese.
Se ci chiediamo perché l’Italia vada male e verifichiamo l’esistenza o meno di tali elementari requisiti nei governanti degli ultimi anni, la risposta viene naturale e spontanea.
Il nostro paese va male perché, per una serie di ragioni che andrebbero attentamente analizzate, coloro che sono stati chiamati a governarlo negli ultimi anni si sono rivelati spesso del tutto privi di tali requisiti.
Non si pretende certo che la signora Fornero sia una luminare del diritto costituzionale e neanche del diritto in genere. Ma la sua battuta sul diritto al lavoro, che non sarebbe tale, è evidentemente rivelatrice, al di là della successiva penosa smentita, del suo approccio, assolutamente antitetico a quello proprio di un governante dignitoso di questo paese.
Che cosa dice l’art. 4 della nostra Costituzione? Il testo è il seguente:
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Ora, se la Repubblica è in mano a gente come Fornero, è evidente che nulla essa farà per promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto, dato che, secondo lei, non di diritto di tratta, ma di una sciocchezza che i buontemponi dei nostri Costituenti hanno voluto inserire nel testo della legge suprema perché in preda a un accesso di populismo.
Perché stupirsi quindi se in Italia, secondo i dati ISTAT, ci sono 2 milioni e 354mila disoccupati, con un tasso di disoccupazione giovanile pari al 31,9% ?
Certo, c’è la crisi. Ma la crisi non è un evento naturale. E, se anche lo fosse, le collettività umane esistono e operano appunto per contrastare gli effetti negativi di eventi di qualsiasi genere.
Non occorre essere dei comunisti sfegatati per affermare questo. Pensiamo alle scelte operate da Franklin Delano Rooselevelt e al New Deal, ad esempio. Solo i più beceri fra i neoliberisti possono ancora essere convinti del fatto che il mercato, lasciato a se stesso, possa risolvere un problema, come quello della disoccupazione, che è un problema mondiale e che richiede pertanto politiche nazionali e internazionali precise basate sull’intervento pubblico.
Il difetto sta nel manico. Farsi governare da una come la Fornero è un po’ come andare a farsi fare un’operazione chirugica delicata da un macellaio o affidare alla banda bassotti la sicurezza delle banche. Questo oramai l’abbiamo capito tutti.
Quello che ancora forse qualcuno fatica a capire è perché un partito come il PD continui ad affidare le sorti del Paese a gente del genere (e perché la CGIL esiti ancora a convocare uno sciopero generale contro questo governo). Sempre a rigor di logica, dovremmo essere portati a pensare che i gruppi dirigenti di tale partito condividano in sostanza la bieca visione del mondo di Fornero, Monti e soci, secondo i quali, come dimostrano del resto le tristi vicende dell’art. 18 e degli esodati, è meglio avere un paese di sudditi servili e impauriti, privi per l’appunto di diritti, che di cittadini consapevoli e combattivi. Strada che porta alla rovina, anche economica, questo nostro disgraziato paese.
Sarò un inguaribile ottimista, ma voglio sperare che il popolo italiano mandi a quel paese (non il nostro paese), Fornero, Monti e i loro seguaci politici e sindacali. Infatti il nostro problema di fondo non si chiama spread e neanche globalizzazione, ma assume le sembianze di una classe politica-tecnica irrimediabilmente autoreferenziale, arrogante e impreparata, della quale è giunta l’ora di liberarsi.