Il “cuore” della riforma sanitaria di Barack Obama è salvo. In una sentenza storica la Corte Suprema degli Stati Uniti ha infatti stabilito, cinque giudici contro quattro, che l’obbligo per i cittadini americani di dotarsi di un’assicurazione sanitaria, previsto dalla riforma, è costituzionale. “Si tratta di una vittoria per gli americani – ha subito commentato Obama -. Ora è necessario andare avanti e applicare davvero la legge”. Mitt Romney, lo sfidante repubblicano alla presidenza, ha invece annunciato di “voler annullare la legge il primo giorno della mia presidenza”.
Si conclude così, almeno per il momento, una delle battaglie più drammatiche della recente storia americana. La sentenza era attesa da settimane. Da giorni schiere di attivisti, pro e contro, erano accampati davanti alla sede della Corte a Washington, pronti a esultare, o a protestare, all’annuncio del verdetto. Un verdetto che, nonostante l’ottimismo mostrato dalla Casa Bianca, restava estremamente incerto. Nel caso fosse passato il “no”, il pezzo di legislazione più importante del primo mandato di Barack Obama sarebbe stato spazzato via.
Alla fine hanno invece prevalso i “sì”. Cinque giudici hanno giudicato costituzionale la riforma di Obama. Hanno votato a favore i quattro liberal più il presidente della Corte, John Roberts, un conservatore nominato da George W. Bush ma che questa volta, a sorpresa, ha votato con i progressisti. E’ stato proprio Roberts a scrivere la motivazione della sentenza. Secondo Roberts, il “mandato individuale”, l’obbligo per quasi tutti gli americani di dotarsi di una assicurazione sanitaria, deve essere considerato alla stregua di una “tassa”. E’ quindi legittimo che il governo possa chiedere a un cittadino di pagare l’1% del suo reddito allo Stato, nel caso questo decida di non comprare un’assicurazione.
La decisione contraddice dunque la tesi dei conservatori americani (e dei 26 Stati, tutti a guida repubblicana, che avevano fatto ricorso contro la legge). Nell’ottica degli avversari della riforma, il governo federale non può infatti costringere un cittadino a comprare un’assicurazione sanitaria. Se questo fosse possibile, è stato ripetuto più volte, il governo potrebbe costringere gli americani a comprare qualsiasi cosa, “anche i broccoli”. L’unica soddisfazione, parziale, per i conservatori, è un altro punto della sentenza, quello in cui si dice che il governo federale non ha il diritto di costringere i singoli Stati ad adottare tutte le clausole del Medicaid, il programma sanitario rivolto ai più poveri che Obama ha potentemente allargato.
“La sentenza di oggi sottolinea l’urgenza di abrogare la legge nella sua interezza”, ha commentato lo speaker repubblicano della Camera, John Boehner. E’ comunque improbabile che il GOP si impegni, nei prossimi mesi di campagna elettorale, in una battaglia contro la riforma. Sebbene questa entrerà pienamente in vigore nel 2014, alcune norme sono già in corso di attuazione, e altre incontrano il favore di larghi settori dell’elettorato (per esempio, la possibilità per i ragazzi fino a 26 anni di restare legati all’assicurazione sanitaria dei genitori; o il divieto per le compagnie di assicurazione di negare la copertura sanitaria agli utenti per condizioni “pre-esistenti”).
Il no alla riforma di Obama resterà quindi nei prossimi mesi, con ogni probabilità, un argomento polemico delle frange più radicali del movimento conservatore, quelle ideologicamente contrarie a ogni invasione dello Stato nella vita del cittadino. Per Obama, si tratta invece di una vittoria importante, che conferma l’atto più importante dei suoi primi quattro anni e rilancia la sua campagna in un momento difficile, segnato dal persistere di un’economia debole e da dati poco confortanti in termini di nuovi posti di lavoro.
Per tutto il sistema istituzionale americano, la sentenza sull’Obamacare ha però un altro effetto, che sarà forse il più storicamente rilevante. E cioè la nessuna volontà della maggioranza dei giudici della Corte di aprire una fase di scontro con il Presidente, il Congresso, il potere politico in generale. Non a caso proprio il giudice Roberts, conosciuto per le sue opinioni particolarmente conservatrici, ha in questo caso votato a favore della riforma di Obama, e ha esplicitamente affermato che il suo giudizio “riflette una generale reticenza a invalidare gli atti di un leader eletto della Nazione“.