I leader politici ricorrono a sofisticati marchingegni per pulire l'aria, ma cercano di tenere nascosto alla popolazione il problema dell'inquinamento. E impediscono all'ambasciata americana di divulgare su Twitter i dati sulle polveri pericolose
La pioggia dei giorni scorsi non ha migliorato la situazione: l’aria di Pechino è sempre peggio, ma guai a dirlo. Anzi, può dirlo solo il governo locale. Con un comunicato emesso dal ministero dell’Ambiente, la Cina qualche settimana fa ha infatti redarguito le ambasciate straniere, con un chiaro riferimento a quella americana: pubblicare su Twitter i livelli di inquinamento delle città cinesi è illegale, perché “non solo si infrange lo spirito della Convenzione di Vienna, ma si contravviene anche alle norme pertinenti la tutela ambientale”.
Si tratta di una polemica che ha ormai una sua storia. Nel proprio account Twitter (@BeijingAir) da tempo l’ambasciata americana riversa i dati di inquinamento della capitale sui suoi circa 20mila follower. Ogni giorno si ironizza sul web su questi dati che vanno dal “pessimo” allo “straordinariamente pessimo”, inquietando non poco gli stranieri presenti in Cina. I dati ben presto hanno cominciato a girare anche tra i cinesi: ne è scaturita una polemica online molto vivace, con molti “vip” locali impegnati a chiedere al proprio governo più trasparenza nell’esposizione di questa tipologia di numeri.
Nel novembre scorso l’argomento ha sfondato sui media locali: in un sondaggio online, il 72,7 per cento degli intervistati aveva specificato che la qualità dell’aria nelle loro città è “cattiva”, e solo il 15,6 per cento si sarebbe dichiarato soddisfatto. Il sondaggio è stato pubblicato dal China Youth Daily, in un periodo in cui l’amministrazione della città di Pechino si era vista costretta a chiudere autostrade e cancellare i voli a causa della nebbia dovuta allo smog.
“La maggioranza schiacciante (85,3%) – scrisse all’epoca Caijing, un settimanale cinese – ha accusato le industrie per la cattiva qualità dell’aria”, riscontrando “la mania per il Pil” delle aziende che non avrebbero alcuna cura dei disagi ambientali derivanti dalle loro attività.
L’amministrazione cittadina rispose prontamente: a seguito delle proteste e delle richieste, venne aperto un centro di monitoraggio sull’aria della capitale che ha reso pubblici i dati rilevati. “La mossa – aveva scritto l’agenzia ufficiale Xinhua – è pensata per consentire ai cittadini comuni di imparare da soli come la qualità dell’aria di Pechino viene monitorata”.
La qualità dell’aria di Pechino sembra essere peggiorata nel corso degli anni a causa del crescente intasamento di automobili che ammorbano quotidianamente il traffico della capitale, nonostante le autorità predichino il contrario: l’Environmental Protection Bureau di Pechino ha infatti specificato che la qualità dell’aria della capitale è “effettivamente migliorata dal 2008 come dimostrato dalle statistiche di monitoraggio”.
Pechino avrebbe avuto 63 giorni di eccellente qualità dell’aria negli ultimi 10 mesi, 12 giorni in più rispetto allo stesso periodo del 2008 – ha detto un portavoce – aggiungendo che “l’indice di inquinanti atmosferici, un indicatore della qualità dell’aria, suggerisce che la qualità dell’aria di 239 giorni fino ad oggi era stata buona”.
Sarà, ma evidentemente non la pensano così i politici cinesi. A dare fiato alle proteste, tempo fa era stata la notizia, riportata da alcuni siti web, circa le misure anti-inquinamento prese proprio dai leader locali: per combattere l’inquinamento i papaveri cinesi si sarebbero infatti dotati di depuratori d’aria sofisticati e costosi. Dopo la scoperta di mercati biologici dove solo i funzionari possono fare la spesa (mentre il resto della popolazione deve affrontare il rischio di additivi chimici e scandali alimentari), è emersa dunque un’altra “peculiarità” della casta cinese.
La rivelazione è arrivata da un produttore cinese di depuratori d’aria. Secondo il Gruppo Broad, un’azienda che produce climatizzatori in Hunan, almeno duecento depuratori d’aria sarebbero stati installati all’interno di Zhongnanhai, il compound a due passi dalla Città proibita dove il presidente Hu Jintao, il premier Wen Jiabao e gli altri leader vivono e lavorano. “I climatizzatori sono installati ovunque a Zhongnanhai – ha scritto il South China Morning Post – dai salotti alle sale riunioni, dalle piscine alle palestre”. L’azienda ha giustamente rivendicato sul proprio sito il successo della fornitura: “E’ una benedizione che i nostri depuratori siano utilizzati per creare un ambiente sano e pulito per i leader dello Stato”. E gli altri stiano zitti, per favore.
di Simone Pieranni