Dopo varie polemiche e cambi di programma, il neo presidente egiziano Mohammed Morsi ha prestato giuramento di fronte alla Corte Costituzionale. Una condizione dovuta alla mancanza del parlamento, sciolto circa due settimane fa dalla stessa Corte, un organismo composto da 19 giudici nominati all’epoca del regime di Mubarak. Il neo presidente dei Fratelli Musulmani aveva ripetutamente rifiutato la decisione della Corte, definendo la mossa – a cui poi è seguita l’aggiunta costituzionale da parte del consiglio militare – come un tentativo soft di colpo di stato e per giorni aveva preso tempo sulla decisione di giurare di fronte a un organismo definito da molti una scoria del vecchio regime, tenendo conto anche della richiesta di diversi movimenti rivoluzionari che volevano che il nuovo capo di stato giurasse in piazza Tahrir. Infine, dopo ripensamenti e consultazioni, Morsi ha ceduto alle regole imposte dai militari, anticipando però ieri un giuramento ufficioso nella piazza simbolo della rivoluzione e di fronte a centinaia di migliaia di suoi sostenitori.
“Nessuna autorità è più forte del popolo – ha affermato ieri Morsi davanti a una folla festante – tutti i cittadini di questo paese verranno trattati in modo equo e il mio mandato porterà avanti gli ideali della rivoluzione sino in fondo”. Un discorso simbolico e pesante che però va in contrasto con il giuramento di oggi in cui il neo presidente ha riconosciuto i poteri del consiglio militare. Le contraddizioni e le polemiche su questa cerimonia sembrano, dunque, una prima prova del mandato del neo presidente dei Fratelli Musulmani, che già nei primissimi giorni si è trovato a fare i conti con il rispetto obbligato dell’ancora forte potere dei militari e con le aspettative della piazza. E ora, tra questi due fuochi Morsi dovrà formare il nuovo governo. I lavori vanno avanti già dal giorno dopo la proclamazione e per il momento la linea maestra sembra quella del “governo di salvezza nazionale”, in rappresentanza di tutte le parti politiche e sociali del paese. Alcuni giorni fa l’entourage dei Fratelli Musulmani aveva affermato che i due vicepresidenti saranno una donna e un copto (in rappresentanza della comunità cristiana più grande dell’Egitto).
Ancora molta incertezza invece sul nome del primo ministro – inizialmente si era fatto il nome anche dell’ex capo dell’Agenzia Atomica Internazionale Mohammed El Baradei, poi smentito – ma sempre secondo le ultime dichiarazioni degli Ikhwan dovrebbe provenire dall’area liberale. In realtà la partita più dura sul nuovo gabinetto si gioca invece su due ministeri chiave, gli Interni e la Difesa, dove secondo molti analisti i militari cercheranno di imporre un loro nome. Così mentre a livello di contrattazione e compromessi il mandato di Morsi continua a sembrare un abito troppo stretto per muoversi agilmente, la sfida reale più grande del paese resta l’economia. Secondo il programma elettorale, il neo presidente cercherà di implementare il turismo e di attrarre investimenti stranieri nel paese. Un compito arduo – nonostante l’entusiasmo delle borse dopo la nomina di Morsi – a causa della situazione politica del paese che resta instabile, con un capo di stato eletto ma senza un parlamento e una costituzione. Inoltre, un ruolo fondamentale sull’economia e sul risanamento delle casse dello stato (che in un anno e mezzo ha quasi esaurito la liquidità di moneta estera) lo giocherà il tanto atteso prestito del Fondo Monetario Internazionale. Ma nonostante le rassicuranti dichiarazioni della direttrice Christine Lagarde, resta l’incertezza sulle modalità e i tempi della liquidazione del fondo, che ammonta a circa 3,2 miliardi di dollari.