Due settimane fa ero in Italia, invitato a parlare al festival di Repubblica.it per presentare la campagna #salvaiciclisti all’interno del contenitore “30 italiani che ci cambieranno la vita”.
Prima del mio intervento è salito sul palco Aldo Pecora, anima del movimento “Ammazzateci tutti”, un baluardo della legalità nella lotta alla ‘ndrangheta. Il suo bellissimo intervento è stato seguito da 5 minuti di scroscianti applausi e da una standing ovation da pelle d’oca. Subito dopo ho parlato io, con la voce ancora rotta dall’emozione per il toccante intervento di Aldo.
Nei 5 minuti a mia disposizione non sono riuscito a ricreare la stessa atmosfera che aveva creato lui. Il pubblico era distante, quasi disinteressato. Lo ammetto, non sono un grande oratore, ma la sensazione netta è che il tema in qualche modo non fosse ritenuto all’altezza della situazione e, sinceramente, l’ho pensato anch’io. La situazione era surreale, sembrava di essere finito dritto dentro il film Johnny Stecchino, in cui il traffico era presentato come la più grande delle tre piaghe della Sicilia.
Poi, appena avutane l’occasione, sono andato a documentarmi per avere dei numeri che mi riportassero al reale senso delle cose.
Dopo alcune ricerche, ho scoperto che, negli ultimi dieci anni,
sono morte 82 persone per mano delle mafie
sono morti 88 militari italiani in missione di pace all’estero (quelli per cui la nazionale porta il lutto al braccio)
sono 9.000 i morti sul lavoro in Italia (quelli di cui nessuno parla)
sono 56.641 i morti sulle strade in Italia.
Qualcosa nella mia testa mi dice che questi dati non possono essere confrontati tra loro, perché i morti non sono tutti uguali, anche se non riesco a capire esattamente il perché.
Forse il motivo è che la mafia è un sistema criminale che si basa sul silenzio e sull’omertà, ma come definire un modello di trasporto che invece di sbandierare queste cifre le nasconde sotto il tappeto pur di non mettere in dubbio la centralità dell’automobile nella mobilità?
Forse il motivo è che le mafie costituiscono un enorme danno economico per la nostra società, eppure ogni anno ci giochiamo il 2% del PIL nazionale a causa dell’incidentalità stradale a cui si va ad aggiungere il danno economico causato dalla congestione stradale (1% del PIL) e dagli agenti inquinanti.
Forse il motivo è che le mafie sono un ostacolo ai giovani che vogliono realizzare una società basata su valori differenti, eppure la prima causa di morte per i giovani tra i 15 e i 35 anni è l’incidentalità stradale e non la mafia.
Forse il motivo è la violenza intrinseca del sistema mafioso, però per ogni morto per mafia si verificano 688 morti sulla strada e a questo punto nutro il forte dubbio che l’unico motivo per cui l’incidentalità stradale sia socialmente accettata e la mafia no, sia unicamente per una motivazione culturale: dalla morte del Generale Dalla Chiesa in poi, passando per tutte le puntate della “Piovra”, gli omicidi di Falcone e Borsellino, per arrivare alla trasposizione cinematografica di “Gomorra” e alla beatificazione di Saviano, i mezzi di comunicazione del nostro paese ce l’hanno messa tutta per mostrare quanto orribile sia la mafia. Quante volte, piuttosto, abbiamo sentito dire che le strade sono pericolose e quante, invece, che le automobili sono “fatte della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni”?
Sono decenni che ci dicono che la mafia è il male e che va combattuta, che nasce dalla mancanza di alternative e dall’ignoranza, che è un sistema basato sul sopruso. Da sempre, invece, ci hanno detto che il traffico è una cosa necessaria (nel senso che non può non esserci) e a cui non ti puoi opporre, perché il traffico è il prezzo del progresso, bellezza. Ma, io mi chiedo, è socialmente accettabile un modello di mobilità che in dieci anni si è lasciato dietro una striscia di oltre 50 mila cadaveri e più di 3,3 milioni di feriti?
Io penso di no e penso anche che sia arrivato il momento di scegliere tra tutelare il diritto alla vita delle persone e il loro diritto a guidare un’automobile. Penso che il momento giusto per scegliere sia adesso: adesso che la Fiat è debole e ha sempre meno da offrire al nostro Paese, prima che quella dell’Irisbus sia una partita persa per sempre, adesso che bisogna far uscire il paese da una crisi economica a cui occorre rispondere con massicci investimenti nella direzione giusta.