Dunque l’Italia, intesa come squadra di calcio, mercoledì sera è stata davvero grande. Raramente si è vista una prestazione tanto felice: non solo una precisione tattica, una brillantezza fisica, una superiorità tecnica così evidenti da legittimare un risultato ben più ampio (un 3 a 0 ci stava tutto), ma anche un atteggiamento in campo e fuori assolutamente encomiabile: non un’entrata cattiva, non uno scatto di nervi, il massimo rispetto dell’avversario. Bravi tutti e menzione particolare per Prandelli che, da maestro di calcio quale sempre ha mostrato di essere, ha insegnato a tutti come si gioca e come ci si comporta. Bellissima serata davvero.
Ma come sempre le cose belle durano poco, non l’espace d’un matin, come dice il poeta, ma quello di una sera. Finita la partita, infatti, ci hanno pensato altri a distruggere tutto quanto di buono calciatori e allenatore avevano costruito, dando il via all’assurdo teatrino di una vittoria sportiva che diventa politica e facendo quello che gli atleti in campo non avevano neppure lontanamente pensato: sbeffeggiare l’avversario. Ha cominciato Petrucci, il presidente del Coni, a evocare senza alcuna ragione lo spread; poi è arrivato, a chiarire meglio che strada si stava imboccando, il promo del programma di Vespa.
Ma a fare la parte del leone, il mattino dopo, ci hanno pensato i giornali fiancheggiatori del centrodestra berlusconiano, i soliti geniali titolisti del Tempo, di Libero, fino all’inarrivabile Giornale con il suo elegantissimo saluto alla Merkel: «ciao ciao culona». Che tristezza! Davanti a queste parole mi sono tornate alla mente certe situazioni degli anni Cinquanta e Sessanta, quando l’Italia ancora arrancava tra varie difficoltà e arretratezze e una vittoria del Napoli di Achille Lauro sul Milan era salutata coma una rivincita della gente del sud povero e sfruttato sul nord sviluppato e sfruttatore e una trasferta vittoriosa della nazionale in Svizzera era vissuta come un riscatto delle sofferenze dei nostri emigranti.
Ecco, grazie a queste acutissime letture e ai loro autori siamo tornati lì, a quei tempi, a quelle rivalse, a certe espressioni con cui certuni si vantano di interpretare il sentimento popolare e che invece sono solo plebee, di un popolo “straccione”, di “un volgo disperso che nome non ha” e che piace solo ai populisti. Dicono alcuni che dobbiamo pretendere dall’Europa e in particolare dalla Germania di non essere guardati dall’alto in basso. Ma forse dovremmo prima chiedere a qualcuno a casa nostra di non farci scendere così in basso.