Ma come sempre le cose belle durano poco, non l’espace d’un matin, come dice il poeta, ma quello di una sera. Finita la partita, infatti, ci hanno pensato altri a distruggere tutto quanto di buono calciatori e allenatore avevano costruito, dando il via all’assurdo teatrino di una vittoria sportiva che diventa politica e facendo quello che gli atleti in campo non avevano neppure lontanamente pensato: sbeffeggiare l’avversario. Ha cominciato Petrucci, il presidente del Coni, a evocare senza alcuna ragione lo spread; poi è arrivato, a chiarire meglio che strada si stava imboccando, il promo del programma di Vespa.
Ma a fare la parte del leone, il mattino dopo, ci hanno pensato i giornali fiancheggiatori del centrodestra berlusconiano, i soliti geniali titolisti del Tempo, di Libero, fino all’inarrivabile Giornale con il suo elegantissimo saluto alla Merkel: «ciao ciao culona». Che tristezza! Davanti a queste parole mi sono tornate alla mente certe situazioni degli anni Cinquanta e Sessanta, quando l’Italia ancora arrancava tra varie difficoltà e arretratezze e una vittoria del Napoli di Achille Lauro sul Milan era salutata coma una rivincita della gente del sud povero e sfruttato sul nord sviluppato e sfruttatore e una trasferta vittoriosa della nazionale in Svizzera era vissuta come un riscatto delle sofferenze dei nostri emigranti.
Ecco, grazie a queste acutissime letture e ai loro autori siamo tornati lì, a quei tempi, a quelle rivalse, a certe espressioni con cui certuni si vantano di interpretare il sentimento popolare e che invece sono solo plebee, di un popolo “straccione”, di “un volgo disperso che nome non ha” e che piace solo ai populisti. Dicono alcuni che dobbiamo pretendere dall’Europa e in particolare dalla Germania di non essere guardati dall’alto in basso. Ma forse dovremmo prima chiedere a qualcuno a casa nostra di non farci scendere così in basso.