In Italia essere oggetto di un’indagine non basta a stroncare una carriera politica, ma lo scoop de “La Stampa” sulla procura di Biella che indaga su Corrado Passera rischia di ridimensionare ancora le ambizioni politiche del ministro dello Sviluppo. I fatti risalgono al 2006-2007, quando era a capo della banca Intesa Sanpaolo.
Se il profilo penale dei fatti contestati resta incerto, quello fiscale è già stato chiarito: la banca ha pagato all’Agenzia delle entrate 270 milioni per sanare le irregolarità contestate (eludere il fisco italiano con una triangolazione societaria tra Svizzera e Gran Bretagna). La vicenda crea problemi a Passera per vari motivi. Da quando è arrivato al governo, nel novembre 2011, ha fatto di tutto per restare a distanza dal suo passato bancario (tutto tranne rinunciare a portarsi al ministero Mario Ciaccia, a occuparsi delle infrastrutture che a Intesa finanziava ). Non ha ritenuto opportuno negoziare sulla buonuscita – che per il suo omologo Alessandro Profumo di Unicredit era stata di 40 milioni – proprio perché sapeva che i banchieri, specie se milionari, in politica non possono aspirare a grande popolarità in questi anni. Adesso il suo passato bancario torna a tormentarlo e, da ministro, dovrà difendersi per un’operazione ambigua che la sua stessa banca ha ammesso essere illegittima, tanto che ha pagato la sanzione al fisco.
Scandali a Palazzo Chigi
Finora gli imbarazzi giudiziari per il governo Monti erano derivati soltanto da personaggi di un’epoca precedente. Il sottosegretario all’editoria Carlo Malinconico, già prodiano ma non lontano dai mondi di Gianni Letta, si è dimesso per le vacanze pagate – ovviamente a sua insaputa – da Francesco De Vito Piscicelli, coinvolto nelle inchieste legate alla ricostruzione de L’Aquila. E poi Andrea Zoppini , giovane ma ben inserito avvocato titolare di ricchi arbitrati, amico del figlio di Giorgio Napolitano, il giurista Giulio, ma anche lui considerato ben visto e apprezzato da Letta. Zoppini, indagato anche lui per aver assistito una potente impresa bresciana in un’operazione fiscale considerata illecita, si è subito dimesso, per non creare imbarazzi al governo.
Dimissioni zero
Passera sa che per lui il discorso è diverso: le sue dimissioni sarebbero un colpo alla leadership di Mario Monti proprio all’indomani del successo europeo al vertice di Bruxelles. Quindi è abbastanza inutile aspettarle, le dimissioni non arriveranno. Ma il già prudentissimo ministro dello Sviluppo diventerà ancora meno sicuro proprio nella fase in cui deve prendere la decisione finale sul ruolo che intende assumere alle elezioni del 2013. Al momento il suo appeal è un po’ diminuito: le sue scelte sul beauty contest per le frequenze tv hanno ridotto l’entusiasmo di alcuni berlusconiani che lo consideravano più affidabile.
La fine di Fini?
I provvedimenti per la crescita di cui è titolare, celebrati da interviste in cui annunciava interventi da decine di miliardi, si sono scontrati con la diga della burocrazia ministeriale del Tesoro, riducendosi a poca cosa. Tutti lo indicano come competente, preparatissimo, totalmente immerso nel suo ruolo istituzionale in cui, un po’ come Gianfranco Fini, rischia però di rimanere intrappolato. Finora Passera ha anche faticato a costruirsi un’identità politica forte, pur avendo fatto capire più volte che non ha intenzione di tornare in banca dopo la primavera 2013 ma spera di restare tra Montecitorio e Palazzo Chigi. Il ministro per la Cooperazione Andrea Riccardi è diventato il principale referente dei cattolici militanti, anche se dal convegno di Todi di un anno fa si poteva immaginare che a quel ruolo fosse destinato Passera.
La Confindustria, per quanto sempre meno rilevante, si è collocata all’opposizione anche del governo tecnico, e la prudente diplomazia di Passera viene periodicamente compromessa dalle violente polemiche tra il leader degli imprenditori Giorgio Squinzi e Mario Monti o Elsa Fornero. Proprio la professoressa torinese – lei sì interessata a tornare nel mondo bancario da protagonista – ha tolto a Passera anche quel ruolo di “Tremonti di Monti” cui pareva destinato, lo batte anche come presenzialismo televisivo e dunque popolarità nei sondaggi. Non sarà un’indagine a carico – che pure al momento al ministro non risulta – a compromettere le ambizioni politiche di Corrado Passera, ma di certo contribuisce a rendere il momento attuale dell’ex capo di Intesa assai meno memorabile di quanto ci si potesse immaginare all’epoca del giuramento ministeriale.
Il Fatto Quotidiano, 1 Luglio 2012