Nonostante la sconfitta contro la Spagna, la nazionale ha lasciato ottime sensazioni: basta difesa e contropiede, è tempo di dettare il gioco. Urge la stessa mentalità nell'affrontare l'ultimo scandalo del calcio italiano
Il nostro Europeo lo abbiamo vinto comunque. Ad alzare la coppa nel cielo di Kiev è stata la Spagna, ma gli azzurri hanno conquistato un altro successo, non meno importante: hanno espresso il calcio migliore. Magra consolazione, diranno i più. Invece è un dato che deve far riflettere. Partendo da un assunto ben preciso: non è vero che la nazionale italiana sa esaltarsi solo nei momenti di difficoltà. Non è così.
Chi crede ciecamente a questa teoria, del resto, fa uno sgarbo mica da ridere a Cesare Prandelli, che sin dal suo insediamento (agosto 2010), dopo aver rilevato una squadra a pezzi in seguito ai disastri del Lippi-bis, ha lavorato per un solo obiettivo: cambio di gioco tramite stravolgimento della mentalità calcistica all’italiana. Tradotto: basta difesa e contropiede (quello che alcuni si ostinano a chiamare ancora catenaccio), è ora di dettare i tempi delle partite. Una rivoluzione.
Bene: a prescindere dal risultato di ieri sera, si può dire senza timore di smentita che l’obiettivo è stato raggiunto. L’Italia, infatti, esclusa la partita contro l’Irlanda (la finale è una storia a sè), è stata la squadra che ha giocato meglio a Euro 2012: più occasioni da rete create, miglior centrocampo in entrambe le fasi, difesa solida nonostante defezioni e cambi in corsa. Era dai tempi di Italia ’90 che non si vedeva una nazionale imporre il proprio gioco senza badare alle caratteristiche di chi affrontava.
Insomma, davvero un bel vedere. E pazienza se sul più bello la Spagna ci ha dato una sonora lezione (il 4 a 0 non ammette repliche): troppo esperti loro, troppo poco abituati noi a giocare partite di questo livello. Una sconfitta che, però, non lascia macerie, bensì un’ottima base da cui ripartire. L’importante, ora, è continuare su questo solco per arrivare con la stessa qualità di manovra al 2014, anno dei mondiali di calcio in Brasile, dove l’Italia partirà con i favori del pronostico insieme alle solite note. Certo, non saremo più una bella sorpresa. E sì, perché l’altro grande merito di Cesare Prandelli e della sua truppa è quello di aver fatto cambiare la percezione della nazionale azzurra.
Prima gli avversari ci temevano per la capacità di soffrire, per la furbizia dei nostri difensori, per l’attitudine dei nostri attaccanti a giocare sul filo del fuorigioco. Ora – ed è il vero ‘miracolo prandelliano’ – tutti hanno paura della nostra qualità di gioco, del nostro centrocampo tutto fosforo e inserimenti, dell’imprevedibilità dei Cassano e dei Balotelli, ‘cani randagi’ (anche i tedeschi non sanno perdere) di scapigliata bellezza. Un taglio netto, quindi, con la nostra tradizione calcistica.
Per averne conferma, basti ragionare su un altro dato collaterale del torneo, ovvero il peso specifico di Euro 2012 nell’assegnazione del Pallone d’Oro. L’ultimo italiano a vincerlo è stato Fabio Cannavaro, splendido capitano dell’Italia campione del mondo nel 2006, un squadra – quella sì – che seppe reagire col cuore ai melmosi magheggi di Calciopoli. Prima della finale di Kiev, invece, uno dei più seri candidati ad aggiudicarsi l’ambito riconoscimento era Andrea Pirlo, trequartista inventato regista da Carlo Ancelotti e da allora punto fermo di tutte le squadre in cui ha giocato.
Tecnica, intelligenza calcistica e carisma sottovalutato: lo juventino è l’emblema del calcio di Prandelli, nonché il simbolo di un cambiamento epocale. Ieri il difensore Cannavaro, oggi il creatore di gioco Pirlo: il paragone dice tutto. O quasi tutto. Perché se è vero, come è vero, che non siamo più quelli del catenaccio, va detto che rimaniamo ancora (e purtroppo) quelli del calcioscommesse, del ciarpame calcistico senza pudore. In un semi invisibile colonnino a pagina 29 della Gazzetta dello Sport di ieri, il pm Giuseppe Narducci ha lanciato l’allarme: “Il rischio che con una vittoria della Nazionale agli Europei ci possa essere un colpo di spugna sull’inchiesta è reale – ha detto il magistrato – perché la parte che non vuole fare i conti con la realtà e che cerca di cancellarla pensa sempre di approfittare del trionfo”.
La Nazionale non ha vinto, ma la tentazione del “tutti colpevoli, tutti innocenti” è dura a morire. In tal caso, la cavalcata di Pirlo & Co. si rivelerebbe perfettamente inutile, al pari del cambio di mentalità su cui ha ben lavorato Prandelli. Ecco il punto. Il sistema calcio deve ripartire dalla freschezza dell’Italia a Euro 2012 per riguadagnare quella credibilità perduta a causa di uno scandalo dalle proporzioni ancora ignote.
Altro che multe e patteggiamenti: se un dipendente o un manager di un’azienda imbroglia, è cacciato a calci nel sedere, mica viene ‘sospeso’ per qualche mese, magari dopo aver pagato un’ammenda dalla portata risibile. Questo metro d’azione dovrebbe valere anche per i protagonisti delle scommesse illecite, per i quali sarebbe giusta solo una pena: la radiazione. Non si tratta di rifarsi una verginità, qui si parla di dignità e di credibilità di un sistema che produce – ora possiamo dirlo – un calcio finalmente molto bello a vedersi. Se così non fosse e se si perseverasse con scappellotti sotto forma di punti di penalizzazione, si darebbe ragione a chi prima propone di fermare il calcio per due o tre anni e poi, sull’onda dell’entusiasmo, si presenta in tribuna vip a Kiev con il chiaro intento di salire sul carro dei vincitori. Con sobrietà, s’intende.